Last reviews by Film(amo) Lovers

Diego Cineriflessi
DirectionScreenplayActing

Un pugno nello stomaco

È il film d'autore per antonomasia dello scorso decennio. Il film che stregò il Festival di Cannes tanto da portare a casa la Palma d'oro arrivando in concorso come un outsider girato da un regista poco conosciuto.E 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni è davvero un'opera perfetta, capace di raccontare la Romania nel periodo in cui la dittatura di Ceausescu volgeva al termine e le maglie del suo controllo avevano parecchie falle. Un pugno nello stomaco che racconta la vita difficile delle ragazze dell'epoca quando l'uomo decideva sempre e comunque del loro corpo. Un'opera che non ha paura di parlare di aborto, di mostrarci la complessità e la crudeltà della materia senza moralismi di sorta perché descrive una tragedia per l'essere umano.Regia compatta che non indulge sulla spettacolarità ma ci tiene incollati alla sedia. La scena della cena a casa dei parenti è densa di paura, di attesa, di silenzi nascosti nel rumore che Mungiu sottolinea magistralmente. Altrettanto notevole il finale dove l'indugiare sullo sguardo della protagonista diventa denso di significato.Molto brave le due attrici. La Marinca ben fotografa una donna decisa, risoluta, che guida la situazione anche in pessime acque. La Vasiliu invece incarna un personaggio debole, che non sa cavarsela da sola, ma che grazie alla sua scarsa decisione mette nei guai chi ha intorno.Una grande visione, certo impegnativa e non adatta se si vuole passare una serata rilassante e divertente, ma è uno di quei casi in cui vale la pena provarci.

I compromessi dell'amore

Mungiu è a tutti gli effetti uno degli autori più importanti del cinema europeo contemporaneo. Non ha paura di porsi e porre domande cercando poi di metterle in immagini.Dopo aver ragionato di nascita e morte in 4 mesi 3 settimane 2 giorni e di religione in Oltre le colline questa volta sono cultura e riscatto sociale il suo obiettivo. Come dice più correttamente il titolo originale Bacalaureat, tutto ruota intorno al conseguimento del diploma col massimo dei voti da parte della figlia del protagonista. Non sempre però lo studio è sufficiente se la società anche in modo involontario tenta di bloccare, l'ascesa sociale.Mungiu ci racconta una società ingessata anche attraverso la sua regia rigorosa e precisa in ogni inquadratura, in ogni sguardo dei suoi attori. Un sapiente uso del fuori campo, qualità che è ormai un suo marchio di fabbrica, rende il dipanarsi della trama più misterioso.Per la prima volta i sentimenti irrompono nel cinema del regista rumeno e purtroppo risultano il punto debole del film. Il rapporto tra marito e moglie appesantisce la trama che mette già molta carne al fuco attraverso la storia principale della figlia.Bravo il protagonista Vlad Ivanov già visto nel film che valse la Palma d'oro a Mungiu, anche se il suo non è un cinema che si valorizza gli interpreti. La regia millimetrica e i pedinamenti dei personaggi raffreddano le interpretazioni dei protagonisti e soprattutto la giovane protagonista resta schiacciata da un regista così pieno di personalità.In conclusione un film che costringe lo spettatore a riflettere: scena dopo scena non ci si può che chiedere da che parte si trovi il giusto e il bene. Tutti gli spettatori sono costretti a fare i conti con la propria coscienza impersonandosi nelle difficoltà del padre protagonista. Una sana riflessione che in può solo fare bene.
Giacomo Pescatore
ScreenplayActing

Sole a catinelle

Ma quanto è bravo Checco Zalone… Un film ricco di trovate e battute fulminanti e che a questo giro affronta, come sempre in modo solo in apparenza leggero, il tema del consumismo e della finanza spregiudicata. Farà di meglio solo in Quo vado.
Giacomo Pescatore
DirectionScreenplay

(500) giorni insieme

Bella commedia romantica, destinata a diventare un nuovo classico. La regia è divertita e ricca di trovate e la storia resa in modo interessante e mai banale; impresa non facile, come scrivere un biglietto di auguri non scontato…
Valentina
Acting

Scappa: Get Out

"Get Out" è un thriller psicologico del 2017 diretto da Jordan Peele, che con questo film sigla il suo debutto come regista.Mi sono approcciata alla pellicola pensando che avrei fatto balzi da circense sulla sedia, essendo catalogato horror, ma quello che fa davvero paura è il concept del film che ancora una volta ci mostra l'eterna lotta tra bianchi e neri, affrontando il tema del razzismo in modo audace e incisivo. Ambientato nell'America contemporanea, il film esplora la tematica attraverso un prisma unico, utilizzando l'horror come veicolo per esporre le tensioni e le angosce legate alla percezione della razza. La trama segue la storia di Chris Washington (Daniel Kaluuya) che visita la famiglia bianca della sua fidanzata Rose (Allison Williams).Tuttavia, ciò che sembra essere un innocuo fine settimana si trasforma presto in un incubo quando Chris scopre che la famiglia nasconde segreti oscuri legati al razzismo. Il film mette in evidenza la micro-aggressioni quotidiane e i pregiudizi subdoli che Chris sperimenta, trasformando l'angoscia personale in una metafora potente della condizione afroamericana in America. Ottime le performances del cast, con Daniel Kaluuya che offre una prestazione straordinaria nel ruolo di Chris, trasmettendo una gamma completa di emozioni, ci trascina totalmente nel suo stato d'animo al punto da speriementare un crescente senso di isolamento e paranoia. Anche il resto del cast, tra cui Allison Williams, Bradley Whitford e Catherine Keener, offre interpretazioni convincenti che aggiungono profondità e complessità alla storia.La regia di Peele, attraverso scene disturbanti e simboli visivi, mette in evidenza l'idea del "buon razzismo", rivelando come anche coloro che si considerano progressisti possono essere coinvolti in sistemi di oppressione basati sulla razza."Get Out" è molto più di un semplice film horror. È un'opera cinematografica intelligente e provocatoria che sfida gli spettatori a riflettere sulle questioni sociali e culturali più urgenti

C'era una volta in Bhutan

Una commedia degli equivoci vecchio stile ma anche una favola con morale ad uso e consumo del pubblico occidentaleRegno del Bhuthan, 2006; dopo l’abdicazione dell’amato sovrano il piccolo stato, per la prima volta nelle sua storia, avrà delle libere elezioni.Già ma cosa sono, a che servono e soprattutto come si vota?Se lo chiedono un po’ tutti gli abitanti del paese, soprattutto quelli del piccolo villaggio rurale scelto da Pawo Choying Dorij come sfondo del suo secondo lungometraggio.Qui si intrecciano diverse vicende.C’è l’inviata del governo che dovrà organizzare le elezioni fittizie che si svolgeranno nel villaggio e che serviranno sia come test nazionale per vedere come andranno le cose, sia per spiegare a tutti la novità.Ad affiancarla una giovane donna locale la cui quiete familiare verrà proprio minacciata dalla competizione.Il marito infatti è un convinto sostenitore del candidato per il progresso, malvisto tanto dagli altri abitanti, quanto dalla madre della moglie e dagli altri parenti che se la prenderanno anche con sua figlia, accusandola di essere la figlia di un traditore.C’è poi un collezionista di armi americano accompagnato da una “guida” locale alla ricerca del fucile del titolo internazionale (The monk and the gun).Infine c’è un monaco incaricato dal proprio Lama di trovare due fucili per una cerimonia che, secondo il maestro, “rimetterà le cose a posto”.La prima cosa che balza agli occhi è che C’era una volta in Bhutan è una perfetta commedia degli equivoci vecchio stile con dei tempi perfetti.Esemplare, ad esempio, la sequenza in cui l’americano con la sua guida, ritornano dall’anziano possessore dell’ambito fucile per concludere la compravendita proprio mentre il giovane monaco se ne va dopo essersi assicurato il prezioso oggetto.Lo stesso intento del lama, quello di usare i fucili per rimettere le cose a posto, porta lo spettatore ad immaginare un’evoluzione degli eventi che verrà

Il regno del suppliziante è sempre il più inquietante

"Demoni per alcuni, angeli per altri."Hellraiser non ha sicuramente bisogno di alcuna presentazione. Ma, per chi si stesse approcciando adesso all'horror, ne consiglio assolutamente la visione. Clive Barker, il solo, l'inimitabile, fonte di ispirazione (almeno per me), totalmente impareggiabile. Bene, dopo aver dichiarato il mio amore al mio mito, passo a parlare di un filmone, perché tale è. Con Hellraiser, si assiste all'avvento sul grande schermo di uno dei più riusciti eroi del male. Pinhead verrà inevitabilmente annoverato tra i migliori personaggi orrorifici (assieme a Leatherface, Michael Myers, Jason Voorhes, Freddy Krueger, ecc). La pellicola è notevole, e piena di formidabili invenzioni per essere il 1987, una celebrazione del gore che ancora oggi non ha niente da invidiare agli effetti contemporanei.La storia, tratta dal romanzo breve Schiavi dell'inferno di Barker è visionaria, squisitamente surreale e incredibilmente originale. Non trovo le parole (e di norma ne trovo pure troppe), per rendere giustizia a un'opera tanto accattivante, perfetta nella sua sublime atmosfera angosciante. Larry (Andrew Robinson), si trasferisce nella vecchia casa di famiglia insieme alla sua seconda moglie Julia (Clare Higgins), e alla figlia Kirsty (Ashley Laurence). Ignora però che tempo addietro suo fratello Frank (Sean Chapman), si sia intrattenuto nella soffitta dell'abitazione con una misteriosa scatola rompicapo cubica acquistata in Marocco, e aprendola, la suddetta lo abbia ridotto a brandelli. Quel cubo è in grado di evocare delle mostruose creature (i cenobiti), ed esse sono pronte a mostrare un estremo e sconfinato piacere attraverso il dolore.Il sangue caduto da una ferita di Larry farà sì che il fratello torni in vita, seppur in condizioni disastrose. Quando Julia, la sua ex amante, lo scoprirà, non potrà fare a meno di aiutarlo, essendo ancora molto forte il legame che la unisce a lui. Inutile dire fino a dove si spingerà, il cuore di

La cura dal benessere

(contiene spoiler) Curioso film che comincia come un horror "allegorico “ moderno ("ora vi parleremo dei mali della nostra società, ma li travestiremo da film horror così non vi annoiate") e poi evolve in un film di mostri molto vecchio stile. Qualcuno lo trova incoerente, a me il gioco è piaciuto. E che la confezione sia così curata non è certo un male 😁

Godzilla

Godzilla non ha emozioni, Godzilla è emozione. La creatura che proviene dalle acque profonde rende Tokyo un mare di fuoco.Honda rende la presenza di Godzilla poderosa e angosciante, il kaiju colpisce i punti del progresso tecnologico come ponti, ferrovie, rete elettriche e stazioni radio è chiaramente un monito a ciò che la guerra produce, il regredire dell'umanità che è inerme, impotente e ingabbiata, come suggeriscono le immagini degli uccellini, per l'appunto, dentro la gabbia di fronte a Godzilla che come si sa rappresenta la minaccia atomica ma in generale ciò che l'uomo per avidità e potere può creare e ricercare, la distruzione.Interessante il discorso del regista sul materialismo raccontato per immagini dando risalto agli oggetti in scena quali ad esempio l'elicottero.C'è molto della mitologia giapponese nel film, la presenza dell'acqua, matrice di tutto, punte esoteriche con riferimenti agli yokai in quando Godzilla è presente nel folklore popolare dell'isola a cui dedicano riti.Honda gestisce i tempi, non mostra da subito la creatura, da spazio all'umanità, ai discorsi e dubbi morali delle persone e della politica.L'oscurità che pervade il paleontologo Yemane nel vedere come tutti vogliono e si concentrano sulla morte di Godzilla senza provare a studiarlo e a comprendere la sua natura.Serizawa si comporta quasi da samurai, detiene l'arma per la distruzione del kaiju ma ha paura ad utilizzarla perchè sa che poi l'umanità ne farebbe un pessimo utilizzo, dunque l'inevitabile sacrificio.La sountrack iconica e straordinaria, Honda quado mostra la distruzione non è mai fine a se stessa, si da risalto alla disperazione dell'uomo, tutto richiama uno scenario di guerra.Bellissimi ed iconici i campi medio-lunghi carichi di espressività, come ormai sono diventate storia le inquadrature di Godzilla tra gli edifici, tra i fumi ed il fuoco.Film che ha fatto storia e rimane un monito indelebile sul come non sia la creature

Azione e riflessione

Un anno dopo il reale assalto a Capitol Hill Alex Garland inizia le riprese di Civil war, un film ambientato in un futuro prossimo che descrive una nuova guerra civile statunitense con il Presidente ormai assediato nella Casa Bianca a Washington. Nelle sembianze di un'opera bellica si nasconde un film politico capace di stuzzicare un nervo vivo della società odierna: il continuo dividersi in fazioni nette e contrapposte sempre meno capaci di mediare. Garland crede nella forza delle immagini più che nelle parole sin dalla scena iniziale (serve a qualcosa il discorso fuori fuoco del Presidente)? Non si avvale di parole fuori campo o lunghi monologhi per mostrare l'orrore di quella che potrebbe essere una guerra fratricida: gli bastano scene intense e realistiche (l'incontro con i soldati e le loro fosse comuni funziona). Poca retorica, azione funzionale alla trama sono pregi non da poco. Certo poi l'opera tende a perdersi nella fase finale dove tutto diventa più confuso. Qui si procede per accumulo più che per reale convinzione, si perdono i personaggi (a proposito Kirsten Dunst si conferma comunque una delle attrici più sottovalutate della sua generazione) e si arriva al finale scontato. Civil war resta comunque un film da vedere. A metà strada tra l'impegno e l'azione, capace di raccontarci un futuro non troppo improbabile. Pura anima yankee dipinta da un regista inglese.

NIGHT OF THE HUNTED

This is the seventh film by French director Franck Khalfoun, a fairly recent production worthy of being seen, mentioned, and reviewed; Alice is in a motel bathroom, where she receives a phone call from her boyfriend, who has just cheated with a black man. After a short call he sets off in the middle of the night, with his friend John, also a black man, towards a fertility clinic which, unfortunately, they will never reach: they stopped at a petrol station for a short refueling break, here they will finish their journey; Alice, before dying, will be responsible for a brutal murder like splatter movies, albeit in "self-defense", against the sniper who had shot at her all night and also, in order to isolate her, against those few poor unfortunate passers-by ; the only survivor in the film, a little girl, a worthy representative of a good and still pure world who survives and distances herself from the sight of the rotten, corrupt and decadent world in crisis, which dissolves with the first light of day at the end of a violent night ; the dissolution of two conflicting worlds, represented here by Alice, a liberal-progressive who works as a publicist for a pharmaceutical company, a woman in a period of uncertainty and crisis in her life who finds herself stuck, not by chance, at the station of petrol; and the sniper, conservative and war veteran, who knows even indiscreet details of Alice's life and who, somehow, among the various things he communicates to her while complaining about it, via walkie-talkie, between one rifle shot and another, reveals the fact that he feels deeply affected and wounded by the actions of Alice and people like her: and here the film can become a matter of political-social debate, further divide criticism

Un giullare mordace non poi così audace

La prima cosa che è balzata nella mia mente, dopo la visione di questo film un pelino inconcludente, è: figlio di un Dio minore. Impossibile non fare paragoni con Art, l'unico, l'inarrivabile. Qui ci troviamo di fronte a una copia sbiadita, un villain che strizza l'occhio all'efferato mattatore, pur lasciando l'amaro in bocca e poco batticuore. Questa sorta di mimo prestigiatore, a differenza del clown ammaliatore, indossa una maschera, abbastanza inquietante, eppure, la mimica di David Howard Thornton aggiungeva un tocco assai più lugubre e destabilizzante.In questa trama che non riesce a catturare come dovrebbe, assistiamo alle gesta di un assassino che utilizza trucchi di magia per mietere vittime, anche se, ha preso di mira una famiglia in particolare.Ma il motivo, la spiegazione di tanto accanimento, non potrà arrivare. Questo, a chi come me, gradisce sapere, fa lievemente arricciare il naso, perché la barbara cattiveria rimane lasciata al caso. Lo splatter è sostanzialmente scadente, troppo poco presente per ciò che ci si aspetterebbe da questo genere di pellicola. La recitazione anche, il più bravo è proprio quel killer che però, gioca avvantaggiato, per la serie, ci piace vincere facile. Con quel mascherone, può far paura anche un caprone.Tutto ruota intorno a queste due sorellastre, e un padre presunto suicida, morto in realtà per mezzo di codesto Jester, e ovviamente, conoscere che tipo di entità sia, non è ammesso.Simpatica la scena dolcetto o scherzetto con in due ragazzini e la mano birichina, e anche quella della stramba decapitazione del poliziotto ha il suo perché, più per ilarità che per qualità. Il ritmo è troppo lento, Colin Krawchuk opta per una regia che non spinge il piede sull'acceleratore, e di questo il lungometraggio ne risente.Si tende a puntare troppo sul dramma personale delle due protagoniste, penalizzando un po' il gore, ed è

Infested

Film visto con molto interesse dato che Vanicek dirigerà il prossimo Evil Dead, viene messo in scena un horror di critica sociale che rappresenta lo spaccato della società francese, gli scontri tra la polizia e le fasce meno abbienti della società. L'aspetto sociale non è pedante e non distoglie dalle meccaniche di genere, il tutto è ambientato all'interno di un palazzo con chiaro intenti di creare atmosfere claustrofobiche e di ghettizzare, per l'appunto, i poveri della società creando gioco-forza un parallelismo con gli stessi ragni.Vanicek sa creare immagini suggestive e shot ben costruiti dove tramite giochi cromatici utilizzando luci verdi e rosse si creano buone inquadrature.C'è anche un buon utilizzo dei fuochi, di limitare la profondità di campo dunque del fuori fuoco.L'utilizzo della messa a fuoco, insieme all'ampissimo utilizzo della macchina a mano, sporca la messa in scena, dando anche quella sensazione di "racconto di periferia" cercando di infondere angoscia e atmosfere claustrofobiche.Vanicek però non è abile a sfruttare in pieno tali immagini e non ha la mano sapiente, film d'esordio, nel saper alimentare la tensione.Il film presenta diversi clichè e ci sono momenti con jump scare piuttosto standard e dinamiche generiche nel cercare di costruire l'atmosfera.Si nota che la regia non riesce a creare, far durare, i momenti potrebbero dare intensità, ci sono scene buone dove coesistono sia i ragni che le vittime della scena ma quest'ultime(le vittime) sono ignare della presenza dei ragni, dunque si crea suspance, però poi la gestione è piuttosto veloce, mancano dunque quei forti overtake e uno slow cutting che avrebbe alimentato l'atmosfera.L'ampissimo utilizzo della macchina a mano infatti spesso movimenta tutto un po' troppo, la traversata del corridoio è ben fotografata, è un momento potenzialmente altamente atmosferico però quei movimenti di macchina fluidi, rendono la dinamica troppo "veloce", più respiro, più inquadrature fisse
Stefano Gasperi
DirectionScreenplayCostumesScenographyMake-upSpecial effectsActing

Una gioia per gli occhi ed il cuore

Il Giappone ha da sempre esercitato un grande fascino nel mio immaginario: samurai, geishe, ronin, onore, dovere, zen, cerimoniali astrusi...Quando ho letto le prime impressioni su questa serie le aspettative erano davvero molto alte.Così mi sono deciso a salpare verso le coste nipponiche insieme al 'barbaro' inglese John Blackthorne e mai decisione fu più felice!Intrighi di palazzo, amori, tradimenti, onore, katane che mozzano corpi e chi più ne ha...Una scrittura essenziale, attori in stato di grazia (a parte Jarvis, che non mi ha convinto fino in fondo) con Sanada a gigioneggiare su tutto e tutti e la meravigliosa Anna Sawai a dare spessore ad un personaggio indimenticabile.Il valore aggiunto di questa serie, a parte l'impeccabile e maniacale cura nei dettagli scenografici e nei costumi, sta nel costruire la storia con lentezza, per farci assaporare appieno le dinamiche dei personaggi, i cambiamenti dei loro caratteri oppure carpire il turbinio di emozioni sconvolgenti in visi congelati in sorrisi di circostanza.Una serie che va vista e assaporata come un buon sake, lasciandosi portare indietro di 400 anni godendosi il viaggio con gli occhi e col cuore (l'ordine decidetelo voi).
Giacomo Pescatore
SoundtrackDirectionScreenplayCostumesScenographyMake-upSpecial effects

Fallout

Non conosco il videogioco e non so quindi se sia in alcun modo fedele a esso. La serie da Jonathan Nolan (già dietro il successo di Westworld) è però molto ben fatta e riesce ad alternare azioni, umorismo e colpi di scena di una trama che, come appunto già in Westworld, sotto la confezione di intrattenimento di lusso costituisce la critica di un capitalismo ottuso e senza scrupoli. Divertente e interessante.

Civil War

Al culmine di una delle (rare) sequenze d’azione di Civil war, per creare pathos, o sottolinearlo, a seconda dei punti di vista, Alex Garland, spara a tutto volume l’hip hop dei De La Soul.Seguono inquadrature dei superstiti condite da capelli al vento e slow motion come se piovesse; una roba che, se l’avesse fatta qualche altro regista (ad esempio Snyder) sarebbe oggetto di giustificate e facili ironie.Ma procediamo con ordine.Come ci avvisa gentilmente il titolo stesso, gli Stati Uniti sono dilaniati da una guerra civile.Texas, California e Florida hanno dichiarato la secessione mentre il Presidente, al suo terzo mandato, è asserragliato a Washington.Come siamo arrivati a tutto questo? Da quanto tempo procede la guerra? Garland non fornisce nessuna spiegazione, ci cala in media res, forse con l’intento di rendere universale la sua narrazione; nel frattempo infatti c’è stato l’Assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 quindi perché sprecarsi più di tanto?La fotografa Lee Smith (Kirsten Dunst) ed il collega Joel (Wagner Moura) decidono di provare a raggiungere la Casa Bianca per intervistare il Presidente e a loro si uniscono l’anziano Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la giovane Jessie (Cailee Spaeny).La trama di Civil war è ridotta all’osso ed assomiglia più che altro ad una sorta di macabro videogioco con più livelli di difficoltà.I personaggi poi, di fatto, non sono pervenuti.C’è la celebre fotoreporter apparentemente insensibile agli orrori dopo averne visti tanti, l’anziano collega che non vuole mollare la presa, Joel che vive in una sorta di stato di esaltazione continua dovuto all’adrenalina e Jessie, apparentemente giovane ed ingenua che si capisce dopo pochi secondi che in realtà è quella pronta a tutto pur di affermarsi come fotografa.Non c’è nessun approfondimento psicologico ed invero, a voler fare le pulci, a parte Sammy, gli altri non si capisce bene per chi lavorino

I tre moschettieri - Milady

Recensione del film per intero(sia la prima parte, D'Artagnan, che la seconda, Milady). I Tre Moschettieri di Bourboulon ha buone scene d'azione in piano sequenza ben dirette, la macchina da presa si muove, segue gli scambi di spada tra i personaggi e tramite anche la macchina a mano sa "sporcare" la resa dando proprio la sensazione di duelli serrati, che affannano i personaggi.A livello estetico di sono delle buone inquadrature e una comunque non male messa in scena di base, sono particolarmente belle le scene che tramite una buona fotografia sfruttano i tagli, i fasci di luce che entrano negli interni creando momenti dal bell'impatto visivo.Essendo il film la riproposizione del romanzo di Dumas, ha il fardello di voler ripercorrere il tutto, dunque si ha un po' la costante sensazione di correre un po' troppo, gli avvenimenti sono veloci, c'è poco respiro e seppur c'è voglia e intento di stare dietro ad un po' tutti i personaggi, questi non hanno tutti lo stesso spessore e utilizzo.Di partenza, manca una costruzione dell'amicizia dei tre moschettieri, il film inizia con l'arrivo di D'Artagnan a Parigi dunque i tre, Athos, Aramis e Porthos già si conoscono e sono affiatati tra loro, però questa fedeltà tra di loro non è "sentita" è di fatto presentata ma mancano delle scene che mostrino il loro legame, perciò anche la buona sequenza per resa visiva del carcere di Athos, il suo testamento che parla dei legami, dei suoi lasciti ha poco impatto a livello emotivo, senza contare i tre moschettieri più D'Artagnan sono stati insieme, a livello di film, per una pochissimo, dunque si nota un certo andare di corsa.Si riesce comunque a costruire il background di Athos, il suo tormento ed il film funziona nel suo complesso nel costruire personaggi grigi, anche gli stessi moschettieri, D'Artganan

Le apparenze

Marc Fitoussi, regista francese, firma un film intelligente e ben costruito. E' possibile, infatti, vivendo all'estero e avendo un buon tenore di vita, godere di ciò che si ha e costruirsi un mondo più di apparenze che di realtà. La protagonista in questione scopre il tradimento di suo marito, ma ella stessa non è indenne dalla trasgressione, sia pure a seguito di ciò che è successo. Cerca la vendetta, ma ella stessa è cercata. A un certo punto ci sarà anche una tragedia, le apparenze saranno a quel punto molto utili per uscirne fuori. Ma niente sarà come prima, la realtà reclama la sua parte e la vita dei protagonisti cambierà, ci saranno molto probabilmente altre apparenze. Vienna è l'ambiente, si percepisce ma non si vede molto. La musica c'è perché il protagonista dirige un'orchestra, ma questo è soprattutto un pretesto e l'occasione, la colonna musicale quasi non ne risente. C'è anche la biblioteca francese di Vienna, infine, ma anch'essa è uno sfondo. In primo piano ci sono delle persone che si agitano mosse dai propri sentimenti, curiosità e dicerie. Molto spesso, appunto, apparenze.

The Miracle Club

Le tre gentili signore, di differente età, che lasciano per la prima volta l'Irlanda per un viaggio a Lourdes, credono ai miracoli. Toccherà al loro parroco spiegare come stanno le cose. Questa è la cornice. La sostanza è che anni prima una quarta signora aveva lasciato l'Irlanda per necessità, ora è tornata, si unisce alle tre in cerca di miracoli e questo servirà a chiarire le cose tra loro. Non tutto scorre perfettamente nel film, ma l'insieme riesce a sfuggire ai pericoli di religiosità vera o presunta collegati a Lourdes, e restituisce un'esperienza in definitiva laica di ciò che la vita offre, nei condizionamenti culturali di ciascuno. Interpretazione molto buona, in particolare quella della quasi novantenne Maggie Smith. La serata passa piacevolmente.

The lovers - Ritrovare l'amore

Per un certo tempo la storia stenta a decollare, o forse non si capisce bene quale storia sia. Non è facile mettere in scena un racconto in cui la coppia, formata da due che da tempo hanno relazioni stabili fuori dal matrimonio e anzi stanno per divorziare, quali all'ultimo momento (senza rinunciare a ciò che era previsto) ritrovano il piacere di avere un amante… tra di loro. Una specie di circolo vizioso, dunque, reso con qualche salto logico forse, ma alla fin fine abbastanza piacevole, se inteso come un gioco di immagini. Quanto poi possa essere vero, ognuno se ne potrà formare una sua opinione.