Ribaltare il punto di vista maschile.

Campo lungo, da lontano arriva un elicottero che penetra l'inquadratura, dunque già la prima inquadratura del film si potrebbe leggere come fosse un simbolo fallico, dopo lo stacco a nero e i titoli di testa la regia di Coralie Fargeat mostra il deserto fotografato in verde che tramite un movimento di macchina all'indietro(zoom out) si vede essere il riflesso dei Ray-Ban di Richard, dunque ciò che viene mostrato è il punto di vista maschile e di fatto il primo terzo del film mostra, inquadra la protagonista Jen perennemente in modo sexy. La scena del fellatio mostra Richard è in una posizione dominante e di controllo.


I tre personaggi maschili del film, Richard e i suoi due amici, Stan e Dimitri, si riunisco per fare una battuta di caccia, altra dinamica che tipicamente si rifà ad un concetto maschile come del resto i fucili stesso sono un estensione del simbolo fallico, tutti e tre commettono atti gravi nei confronti di Jen e qui Fargeat in un film cruento e sanguinoso inserisce elementi simbolici come ad esempio la mela che gioco-forza rimanda alla Bibbia, Eva raccolse il frutto e a lei venne data la colpa come infatti in Revenge è a Jen che viene data la colpa di essere troppo bella, seduttrice, non stare al proprio posto, quindi ancora il punto di vista maschile del primo atto del film che sembra avere il dominio della situazione.

Proseguendo nella narrazione il film cambia rotta, morte e resurrezione, Jen scaraventata dal dirupo e infilzata dai rami con il montaggio che sovrappone l'immagine del falò degli abiti di Jen creano l'effetto di un rogo, quindi come se la protagonista fosse una strega da bruciare per i tre personaggi maschili, notevole l'immagine sovrapposta proprio delle fiamme e Jen trafitta dai rami del tronco che sembrano prendere fuoco.
Il sangue gocciola sulla sabbia del deserto con una formica in primo piano, il sangue è vita, il tronco, l'albero è per antonomasia simbolo anch'esso di linfa vitale, dunque sì Jen è viva se non addirittura risorta.

 

Da preda a predatrice, lo stile del film cambia, la caccia è aperta, Richard, Stan e Dimitri vogliono uccidere Jen ma quest'ultima è una survivor che inizierà anch'essa a predare i tre che la vogliono eliminare.
Jen ha il ventre trafitto, in un'ottima sequenza si marchia a fuoco la lattina di birra che ha un'aquila come logo, dunque sia libertà ma anche appunto il marchio di essere ora una predatrice.
La rotazione di macchina e le inquadrature che Fargaet costruisce su Jen sono di dominanza mentre invece Richard e i suoi amici iniziano a sentirsi più persi e spaesati ed infatti vengono inquadrati con campi medio-lunghi nel deserto quindi dominati dall'ambiente circostante.

 

Le dinamiche della caccia, gli assalti e contro-assalti, gli scontro sono ben gestiti e ben diretti, c'è tensione e c'è molta violenza mostrata e molto sangue.

 

Il terzo atto è un crescendo continuo, si arriva alla resa dei conti tra Jen e Richard dove Fargeat gioca con gli stilemi del genere, sovvertendoli.
Il piano sequenza di Richard che torna nella villa, sempre in mezzo al deserto, si dirige per farsi la doccia e cerca di capire se Jen possa essere nelle vicinanza è ottimo sia a livello tecnico che teorico.
Negli slasher si è abituati a vedere il personaggio femminile, la ragazza sotto la doccia che viene assalita dal killer, in Revenge è Richard che è di spalle mentre si fa la doccia, è lui ad essere inquadrato nel piano-sequenza, è lui che nel mirino, a rischio assalto da parte di Jen, si sovvertono dunque sia le dinamiche del genere ma anche del controllo.
 

Jen partecipa alla caccia, utilizza il fucile e uccide.

 

Fargeat crea dunque tensione, la alimenta tramite piano-sequenza e il montaggio, il climax del terzo atto è notevole e diviene un vero e proprio bagno di sangue.
I tempi sono gestiti benissimo, c'è catarsi, la tensione è perenne, e la regia alterna appunto il piano-sequenza al montaggio, gli scambi di primi piani per alimentare la tensione.

Le scenario, i corpi dei due saranno imbrattati di sangue per un esito cruento.

Il finale richiama l'inizio del film ma in senso opposto, se nell'incipit l'elicottero penetrava l'inquadratura e dal deserto, tramite zoom out, si arrivava agli occhiali, dunque allo sguardo di Richard; nel finale Jen è in piedi in un campo medio-lungo a bordo piscina e si sente l'arrivo dell'elicottero, che stavolta non penetra l'inquadratura e non viene inquadrato, stacco di montaggio, Jen si gira e tramite movimenti di macchina ad avvinarsi, zoom in, si va nel suo sguardo.

Il punto di vista maschile viene dunque ribaltato perchè nel finale è lo sguardo di Jen quello che rimane.

Revenge è un film diretto benissimo, Fargeat è a suo agio nel gestire e mostrare la violenza ma anche nel creare inquadrature forti ed immagini ben costruite, la messa in scena è ottima, con una fotografia dai colori spesso accesi che anche nel secondo atto, quello di caccia nel deserto, crea inquadrature suggestive tramite i campi medio-lunghi ed anche l'utilizzo del colore rosso. Notevole ad esempio l'inquadratura prolungata dove in primo piano c'è il manubrio della moto illuminato di rosso mentre Jen si addentra nell'oscurità, dato che si appresta ad entrare in una caverna.
 

Primo lungometraggio per Fargeat che compie un grande esordio, un film sicuramente di critica contro un certo maschilismo gestito in modo ottimale dove la regista mostra un buonissimo reparto tecnico. padronanza del mezzo cinematografico e amore per il genere che riesce anche a sovvertire.

Molto sangue, molta violenza mostrata, tagli sugli occhi, ferite profondissime e sangue che scorre a fiume a portare avanti la tradizione della New French Extremity degli anni 2000.