GENE WILDER, ICONA DELLA COMMEDIA

«È una commedia folle, e da anni non si vedeva questo tipo di follia sullo schermo. […] Gene Wilder che fa l’isterico è più divertente di Peter Sellers. […] L’isteria di Wilder è perfettamente naturale.» Queste sono le parole che Pauline Kael, l’influente e controversa critica cinematografica del “The New Yorker”, scrisse nel 1974 in un articolo dedicato all’uscita di “Frankenstein Junior” nelle sale. Un giudizio che ancora oggi, non solo caratterizza l’essenza del film, ma descrive in pochi tratti la maestria di una delle icone del genere “comedy”: Gene Wilder. 

Artista attento e dal carattere deciso, Wilder ha avuto il pregio di recitare in alcune pellicole che hanno attraversato i decenni diventando dei veri e propri cult-movie. Il binomio con Mel Brooks - con il quale instaurerà una profonda amicizia - risulta proficuo fin dagli esordi. “Per favore non toccare le vecchiette” (discutibile titolo italiano per “The Producers”), opera prima per il regista newyorkese, vede infatti Gene Wilder ricoprire il primo ruolo importante della sua carriera cinematografica, dopo una breve comparsata in “Gangster Story” di Arthur Penn l’anno prima. Il personaggio di Leo Bloom regala all’attore una grande notorietà oltre al plauso dell’Academy che lo inserisce tra le nomination per l’assegnazione dell’Oscar al miglior attore non-protagonista. Isterico, paranoico, stralunato, Leo Bloom diventa in qualche modo un archetipo delle caratteristiche che Wilder porterà sapientemente in tutti i suoi personaggi, riuscendo nel contempo a non risultare mai una copia trita di se stesso. 

 

I tratti un po’ fumettistici dei suoi occhi grandi e chiarissimi, la capigliatura dai ricci spesso volutamente problematici, aiutano Wilder a tracciare con estro l’indole dei suoi personaggi più noti. Dall’ineguagliabile Frederick Frankenstein – nella sceneneggiatura che lui stesso condivise con Brooks per “Frankenstein Junior - fino al Willy Wonka di Mel Stuart nel 1971, ogni sua interpretazione è sempre stata caratterizzata da una comicità eclettica, a tratti un po’ “folle” – per citare Kael – con quell’inquietudine sommessa della pazzia che tracima nella risata. Chi ha amato il suo Willy Wonka – ormai immortalato in uno storico meme - sa bene che il suo personaggio, lontano nello stile dalle atmosfere gotiche di Tim Burton, sa essere in alcuni momenti, ben più “cupo” dello Wonka di Johnny Depp. Perturbante, sul filo costante dell'infingimento, tiene sospeso lo spettatore fino all'ultima scena. 

 

Ma gli anni ‘70 porteranno a Gene Wilder un’altra collaborazione artisticamente vantaggiosa: quella con l’attore comico e monologhista Richard Pryor anche se il connubio non sfociò mai in amicizia. Nella sua autobiografia “Baciami come uno sconosciuto”, Wilder ha infatti parole piuttosto pesanti nei confronti del collega, descrivendolo come intrattabile poiché dipendente dalle droghe. Nonostante questo i due sono ancora considerati una delle coppie più riuscite della commedia statunitense. Da “Wagon-Lits con omicidi” fino ai cospicui successi al botteghino nel decennio successivo, con titoli come “Nessuno ci può fermare” o “Non guardarmi, non ti sento”, la critica continua ad elogiare le interpretazioni di Wilder pur esprimendo più di una perplessità sulle sceneggiature. Non solo attore e sceneggiatore, Gene Wilder si cimenta anche dietro la cinepresa girando cinque film tra cui “La signora in rosso” nel 1984 - remake del francese “Certi piccolissimi peccati” di Yves Robert – che rimane certamente la sua regia più nota e che garantisce all’attore un ottimo successo di pubblico anche grazie alla colonna sonora di Stevie Wonder che viene premiata con l’Oscar. 

 

Anche la tv sa regalare le sue soddisfazioni e dopo la partecipazione al pluripremiato “Alice nel Paese delle Meraviglie” nel 1999 per la NBC e la vittoria di un Emmy per la sua interpretazione in un episodio della fortunata sit-com “Will & Grace” nel 2003, si ritira definitivamente dalle scene. La morte della sua terza moglie, l’attrice Gilda Radner nel 1989, lo aveva portato a farsi paladino della lotta contro i tumori e lo aveva avvicinato alla scrittura nel racconto della malattia della compagna colpita da un cancro alle ovaie. In Italia è stata pubblicata la sua già citata autobiografia e un romanzo di ambientazione storica: “La mia puttana francese”. Tante sfaccettature dunque e un unico amore: quello per la condivisione con il suo pubblico. Meno intellettuale di Woody Allen (con cui ha diviso il set inTutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere”) più misurato di Jerry Lewis, che apprezzava moltissimo, Wilder non forzava mai la battuta ma lasciava che il suo intervento in scena suscitasse una reazione comica in modo spontaneo e autentico. Questa sua dote, unita a un umorismo naturale e a una grande mimica lo ha reso senza dubbio uno dei comedian più amati della storia del cinema. Si è spento a Stamford nel 2016 a 83 anni.


 

Francesca Arca