La serie televisiva Mad Men è andata in onda, in Italia, tra il 2008 e il 2014, con sette stagioni di 13 episodi ciascuna (l’ultima ne ha 14). E’ tuttora presente in streaming in alcune piattaforme.

Racconta vicende del decennio 1960 – 70 negli Stati Uniti, soprattutto a New York, sede iniziale dell’agenzia di pubblicità “Sterling Cooper”, che nel decennio cambia variamente nome e ragione sociale, avendo la sua prima sede in Madison Avenue (da cui, pare, anche il titolo della serie). L’agenzia è frutto di invenzione, ma quel che dona forza alla serie è una stretta aderenza alla storia di quegli anni: la realtà della macchina commerciale della pubblicità televisiva, che in quegli anni si faceva sempre più invasiva muovendo enormi quantità di denaro, entro la grande storia degli Stati Uniti.

Vedendo gli episodi passano davanti agli occhi non solo le varie avventure dei personaggi, ma anche il loro modo di vivere, la via americana del successo di quei tempi, le vicende storiche come l’assassinio di J.F. Kennedy nel 1963 e del fratello Robert nel 1968, gli attentati contro Malcom X (1965) e contro Martin Luther King (1968), il primo allunaggio nel 1969. Attraverso la televisione chi lavora nell’agenzia è informato e discute sulle elezioni dei presidenti di quegli anni e le diverse simpatie politiche dei dirigenti dell’agenzia non impediscono di fare affari, semmai servono per raggiungere le aziende più interessanti da veicolare nella pubblicità.

Ciò che ha assicurato grande successo alla serie, negli USA e non solo, è quindi il realismo di ciò che passa davanti ai nostri occhi. C’è soprattutto New York, certo, ma c’è anche, ad un certo punto, la dialettica con la California, ci sono gli avvenimenti che riportano la memoria del protagonista nell’Illinois. Tutto è stato sempre curato nei particolari.

Innanzitutto ciò che succede negli uffici dell’agenzia, dove non solo chi dirige ma anche i sottoposti spesso non hanno orari, e sono presenti anche al sabato e nelle feste. Qui il consumo di alcol e il fumo, tra i quadri e i dirigenti, a parte gli attuali divieti di legge, sarebbe oggi considerato dannoso e perfino distruttivo (e lascia qua e là il segno nei personaggi, col passare del tempo). L’agenzia è protagonista in alcune vicende relative alle sigarette, dato che di fronte alla sempre maggiore consapevolezza che il fumo fa male ad un certo punto è costretta a confessare pubblicamente il proprio rammarico per avere tra i propri clienti proprio una nota marca (la Lucky Strike), salvo, tempo dopo, a riprendere comunque a fare ugualmente pubblicità in questo settore.

Di molti dei capi dell’agenzia si seguono anche varie vicende private; essi, presenti in tutte le stagioni, combinano l’alcol e il fumo con varie avventure coniugali, non sempre (anzi raramente si potrebbe dire) fondate su affetti veri, consapevoli e duraturi, più spesso legate ad evenienze di comodo. L’adulterio è certo condannato secondo la morale corrente ma, si potrebbe dire, è una prassi costante.

Il protagonista, Don Draper (interpretato da Jon Hamm) è il filo logico di tutto ciò che accade. Di lui sappiamo nelle prime stagioni quello che molti dell’agenzia non sapranno mai, e che deve restare ignoto. Essendo l’alcolizzato padre morto quando aveva dieci anni, egli ha poi passato l’adolescenza in un bordello dove aveva lavorato la madre, morta dandolo alla luce. E’ poi un’esplosione di gas incidentale durante la guerra di Corea, che consente al giovane Richard Whitman di assumere l’identità del suo superiore Don Draper, che così lascia il servizio militare e riesce in qualche modo ad annullare la sua ben misera origine.

Si può leggere nella vicenda di Don Draper la sorte di chi riesce ad affermarsi col proprio ingegno e la fortuna, non necessariamente con la cultura. Draper ci appare costantemente tanto legato al suo primo ventennio di vita, quanto poi poco scosso dalle vicende storiche entro cui vive come uomo di successo. Con la sua indubbia capacità di creatività pubblicitaria e di catturare l’attenzione e i soldi di grandi e potenti aziende americane, Don è diventato a poco a poco socio dell’agenzia e perno di quasi tutto.

La prima moglie di Don, Betty, per diversi anni conduce una vita da ricca casalinga (come del resto altre mogli dei capi dell’agenzia). Passa il tempo tra acquisti e hobby, compresa l’equitazione, fa amicizie, resta fedele. Ma verrà a sapere dei ripetuti tradimenti del marito e così anche del suo passato giovanile, con tutte le conseguenze dal caso. Don, dal canto suo, dovrà ancora una volta reinterpretare la propria vita, cercando di tenere nascosto il passato. Che sarà sempre lì, comunque, motivo di problemi affettivi e di comportamento, lo farà spesso cadere e altrettanto spesso a risorgere. La sigla di apertura di ogni episodio, sempre uguale, reca proprio l’immagine di chi va giù, rimbalza e risale.

La serie intreccia abilmente le vicende del protagonista principale con diversi molti altri dirigenti dell’agenzia pubblicitaria, tutti ricchi e altrettanto occupati tra alcol, fumo e donne.

Alcuni fatti, noti negli USA e meno da noi, meritano attenzione. Ad esempio, l’integrazione razziale. Ancora a metà degli anni ‘60 si faceva fatica a reclutare segretarie e impiegate di colore, infatti se ne vede traccia solo a partire dalla quinta stagione. In generale le donne sono comunque sottomesse, sono casalinghe e emergono avendo successo solo rinunciando di base ad una propria vita affettiva; Peggy Olson (interpretata da Elisabeth Moss) fa adottare da altri il suo bambino, mentre Joan Harris (Christina Hendricks) il figlio lo tiene, ma non ne sposa il padre, il suo successivo matrimonio è destinato a durare ben poco, e riesce a diventare sempre più forte nella competizione del successo grazie al suo acume intellettuale che però senza correlative capacità seduttive sarebbe servito a poco.

La serie ha ottenuto diversi riconoscimenti, 16 Emmy Awards e 5 Golden Globes. In alcuni momenti gli sceneggiatori sembrano quasi a corto di idee, per lo spettatore italiano viene questo sospetto quando, dopo le prime quattro/cinque stagioni, si assiste a discussioni su scelte di pubblicità che riguardano marche tipicamente americane e dicono poco rispetto a ciò che più interessa. Che non è il successo o meno delle invenzioni a scopo pubblicitario dell’agenzia, quanto piuttosto lo stile di vita dei personaggi e le loro successive trasformazioni sia nella carriera che nella vita privata. Il realismo con cui ogni dettaglio è curato, tanto nell’abbigliamento di quel decennio, quanto nei gusti e nel modo di vita, fa perfino dubitare talvolta che quanto si vede sia frutto di fantasia. E’ dalla vita reale di quegli anni che la serie trae alimento ed è questo, sopra ogni altra cosa, l’elemento che desta interesse e lo mantiene vivo, nello spettatore. Qui non c’è un colpevole che chiude gli episodi, qui quasi tutti sono destinati, come nella vita reale di ciascuno di noi, a subire le conseguenze delle proprie scelte, e essere protagonisti della propria vita.

In definitiva, anche se l’ambientazione delle vicende è lontana da noi, nel tempo così come nei luoghi, la serie mette in evidenza comportamenti e caratteristiche dell’essere umano nella sua cruda realtà, teso soprattutto al successo.