L'occhio che uccide

Alex Garland, uno dei più talentuosi registi del nuovo millennio, realizza il suo quinto lavoro (quattro film e una serie) , tutte opere di cui è stato anche sceneggiatore e, in alcuni casi, anche produttore ("Devs").

 

Nel caso specifico “Civil War” è prodotto dalla A24, famosa casa cinematografica indipendente americana, che effettua il suo più grande sforzo economico: con un budget di 50 milioni di $ il film, a tutt'oggi, ne ha incassati 121 e quindi si può considerarlo, a tutti gli effetti, un successo dal punto di vista finanziario.

 

Il cast è formato da un'ottima Kirsten Dunst (qualcuno se la ricorda in “Melancholia” di Von Trier?), un discreto Wasgner Moura (recentemente visto nella bella serie “Shining Girls”), dal veterano Stephen McKinley Henderson ("Lady Bird" e “Barriere”) e dalla giovane Cailee Spaeny in perenne ascesa (prima in “Priscilla”, poi in “Civil War” e prossimamente nell'attesissimo “Alien Romulus”di Fede Alvarez).

 

Rompiamo subito gli indugi e chiariamo le cose: se il botteghino sorride al regista americano, da un punto di vista prettamente qualitativo Garland sembra fare un notevole passo indietro rispetto alle sue opere passate.

 

Questo “road movie” dice meno di quello che dovrebbe mostrare e fa vedere meno di quello di cui dovrebbe parlare: una guerra civile sul suolo americano senza intermediari o forze straniere.

 

Il punto debole del film è, in primis, la sceneggiatura (uno dei punti di forza di Garland): il regista vorrebbe realizzare l'affresco di un nuovo Vietnam totalmente americano ma pecca nel legare i vari episodi.

 

Abbiamo soldati che non rispondono più agli ordini (evidentemente si è interrotta la linea di comando) e, all'opposto, soldati che potrebbero anche disertare in nome di una guerra che non è neanche civile ma solo  imposta (per colpa di un solo uomo? Poco credibile…), gente che si fa giustizia da se (per quale motivo, in nome di quale ideale?), un governo che non esiste più e una nazione che mostra tutto il suo disinteresse per un conflitto che non si capisce a cosa dovrebbe portare.

 

La guerra moderna è diventata, a tutti gli effetti, uno spettacolo da “prime-time” da mostrare ai telespettatori durante la cena e per tale motivo i media devono essere in prima linea (a volte rischiando maggiormente rispetto agli stessi soldati): più le foto e i video sono drammatici e più lo share s'impennerà…

 

Eppure quella scritta ("Press") non è uguale alla “Red Cross” e se i medici e gli infermieri rischiano di morire sul campo di battaglia, nessuno si farà scrupoli a far fuori un giornalista che, contemporaneamente, è spettatore interessato di ciò che sta documentando (in fin dei conti l'upload che viene fatto a fine giornata di tutto il materiale accumulato ha davvero uno scopo?) perche si trasformerà, inevitabilmente, in personale reddito.

 

Garland assume un ruolo neutrale, quasi del tutto assente, diventando, di fatto, il quinto elemento invisibile del gruppo e non riesco a intravedere nessun nesso con l'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021: non c'è nessun movimento di persone, nessuna coesione, nessuna motivazione politica (chi sono i buoni e chi i cattivi?).

 

Tutto sembra basarsi sul Presidente che, nel finale a Washington (la parte migliore del film), risulta essere abbandonato da tutti, anche dalla parte politica che, si suppone, lo sosteneva fino a qualche settimana prima.

 

Un Presidente che mostra paura per un popolo che ha perso l'identità scoprendosi nemico di se stesso: l'americano medio che è sempre stato l'espressione della fusione di svariate culture eterogenee tra loro.

 

La giovane reporter incarna lo spirito tipico della gioventù attuale che parla di catastrofi in maniera così superficiale, solo per realizzare e monetizzare qualche video sui social: la Vita non è il trionfo del voyeur e passarla a guardare il dolore degli altri si rischia seriamente di diventare insensibili e cinici. Una blow-out girl che sembra essere in possesso dell'occhio che uccide, un obiettivo che, in modo ossessionato, cerca di immortalare frame temporali che però vengono tolti dal contesto e per tale motivo possono diventare iconici ma non esplicativi.

 

La morte non è uno spettacolo e ancor di più la disgregazione di un popolo è una ferita che rimane viva anche per secoli: dopo quasi trecento anni ci ritroviamo nuovamente con i secessionisti e i fedeli?

 

La bandiera adorna di stelle non esiste più, solo due stelle che sono la testimonianza più esplicita della separazione: un vessillo che ha perso il suo significato è un vessillo che non produce orgoglio.

 

Garland, solo alla fine, si ricorda di cosa è in grado di fare ma è ormai troppo tardi: il feticismo ha vinto e tutti noi dobbiamo essere coscienti di essere diventati dei guardoni.

 

Il finale, per quanto liberatorio, non riesce a cancellare tutto quello che si è visto e non in fondo compreso…

di Rael70