Last reviews by Film(amo) Lovers

Godzilla

Godzilla non ha emozioni, Godzilla è emozione. La creatura che proviene dalle acque profonde rende Tokyo un mare di fuoco.Honda rende la presenza di Godzilla poderosa e angosciante, il kaiju colpisce i punti del progresso tecnologico come ponti, ferrovie, rete elettriche e stazioni radio è chiaramente un monito a ciò che la guerra produce, il regredire dell'umanità che è inerme, impotente e ingabbiata, come suggeriscono le immagini degli uccellini, per l'appunto, dentro la gabbia di fronte a Godzilla che come si sa rappresenta la minaccia atomica ma in generale ciò che l'uomo per avidità e potere può creare e ricercare, la distruzione.Interessante il discorso del regista sul materialismo raccontato per immagini dando risalto agli oggetti in scena quali ad esempio l'elicottero.C'è molto della mitologia giapponese nel film, la presenza dell'acqua, matrice di tutto, punte esoteriche con riferimenti agli yokai in quando Godzilla è presente nel folklore popolare dell'isola a cui dedicano riti.Honda gestisce i tempi, non mostra da subito la creatura, da spazio all'umanità, ai discorsi e dubbi morali delle persone e della politica.L'oscurità che pervade il paleontologo Yemane nel vedere come tutti vogliono e si concentrano sulla morte di Godzilla senza provare a studiarlo e a comprendere la sua natura.Serizawa si comporta quasi da samurai, detiene l'arma per la distruzione del kaiju ma ha paura ad utilizzarla perchè sa che poi l'umanità ne farebbe un pessimo utilizzo, dunque l'inevitabile sacrificio.La sountrack iconica e straordinaria, Honda quado mostra la distruzione non è mai fine a se stessa, si da risalto alla disperazione dell'uomo, tutto richiama uno scenario di guerra.Bellissimi ed iconici i campi medio-lunghi carichi di espressività, come ormai sono diventate storia le inquadrature di Godzilla tra gli edifici, tra i fumi ed il fuoco.Film che ha fatto storia e rimane un monito indelebile sul come non sia la creature

Azione e riflessione

Un anno dopo il reale assalto a Capitol Hill Alex Garland inizia le riprese di Civil war, un film ambientato in un futuro prossimo che descrive una nuova guerra civile statunitense con il Presidente ormai assediato nella Casa Bianca a Washington. Nelle sembianze di un'opera bellica si nasconde un film politico capace di stuzzicare un nervo vivo della società odierna: il continuo dividersi in fazioni nette e contrapposte sempre meno capaci di mediare. Garland crede nella forza delle immagini più che nelle parole sin dalla scena iniziale (serve a qualcosa il discorso fuori fuoco del Presidente)? Non si avvale di parole fuori campo o lunghi monologhi per mostrare l'orrore di quella che potrebbe essere una guerra fratricida: gli bastano scene intense e realistiche (l'incontro con i soldati e le loro fosse comuni funziona). Poca retorica, azione funzionale alla trama sono pregi non da poco. Certo poi l'opera tende a perdersi nella fase finale dove tutto diventa più confuso. Qui si procede per accumulo più che per reale convinzione, si perdono i personaggi (a proposito Kirsten Dunst si conferma comunque una delle attrici più sottovalutate della sua generazione) e si arriva al finale scontato. Civil war resta comunque un film da vedere. A metà strada tra l'impegno e l'azione, capace di raccontarci un futuro non troppo improbabile. Pura anima yankee dipinta da un regista inglese.

NIGHT OF THE HUNTED

This is the seventh film by French director Franck Khalfoun, a fairly recent production worthy of being seen, mentioned, and reviewed; Alice is in a motel bathroom, where she receives a phone call from her boyfriend, who has just cheated with a black man. After a short call he sets off in the middle of the night, with his friend John, also a black man, towards a fertility clinic which, unfortunately, they will never reach: they stopped at a petrol station for a short refueling break, here they will finish their journey; Alice, before dying, will be responsible for a brutal murder like splatter movies, albeit in "self-defense", against the sniper who had shot at her all night and also, in order to isolate her, against those few poor unfortunate passers-by ; the only survivor in the film, a little girl, a worthy representative of a good and still pure world who survives and distances herself from the sight of the rotten, corrupt and decadent world in crisis, which dissolves with the first light of day at the end of a violent night ; the dissolution of two conflicting worlds, represented here by Alice, a liberal-progressive who works as a publicist for a pharmaceutical company, a woman in a period of uncertainty and crisis in her life who finds herself stuck, not by chance, at the station of petrol; and the sniper, conservative and war veteran, who knows even indiscreet details of Alice's life and who, somehow, among the various things he communicates to her while complaining about it, via walkie-talkie, between one rifle shot and another, reveals the fact that he feels deeply affected and wounded by the actions of Alice and people like her: and here the film can become a matter of political-social debate, further divide criticism

Un giullare mordace non poi così audace

La prima cosa che è balzata nella mia mente, dopo la visione di questo film un pelino inconcludente, è: figlio di un Dio minore. Impossibile non fare paragoni con Art, l'unico, l'inarrivabile. Qui ci troviamo di fronte a una copia sbiadita, un villain che strizza l'occhio all'efferato mattatore, pur lasciando l'amaro in bocca e poco batticuore. Questa sorta di mimo prestigiatore, a differenza del clown ammaliatore, indossa una maschera, abbastanza inquietante, eppure, la mimica di David Howard Thornton aggiungeva un tocco assai più lugubre e destabilizzante.In questa trama che non riesce a catturare come dovrebbe, assistiamo alle gesta di un assassino che utilizza trucchi di magia per mietere vittime, anche se, ha preso di mira una famiglia in particolare.Ma il motivo, la spiegazione di tanto accanimento, non potrà arrivare. Questo, a chi come me, gradisce sapere, fa lievemente arricciare il naso, perché la barbara cattiveria rimane lasciata al caso. Lo splatter è sostanzialmente scadente, troppo poco presente per ciò che ci si aspetterebbe da questo genere di pellicola. La recitazione anche, il più bravo è proprio quel killer che però, gioca avvantaggiato, per la serie, ci piace vincere facile. Con quel mascherone, può far paura anche un caprone.Tutto ruota intorno a queste due sorellastre, e un padre presunto suicida, morto in realtà per mezzo di codesto Jester, e ovviamente, conoscere che tipo di entità sia, non è ammesso.Simpatica la scena dolcetto o scherzetto con in due ragazzini e la mano birichina, e anche quella della stramba decapitazione del poliziotto ha il suo perché, più per ilarità che per qualità. Il ritmo è troppo lento, Colin Krawchuk opta per una regia che non spinge il piede sull'acceleratore, e di questo il lungometraggio ne risente.Si tende a puntare troppo sul dramma personale delle due protagoniste, penalizzando un po' il gore, ed è

Infested

Film visto con molto interesse dato che Vanicek dirigerà il prossimo Evil Dead, viene messo in scena un horror di critica sociale che rappresenta lo spaccato della società francese, gli scontri tra la polizia e le fasce meno abbienti della società. L'aspetto sociale non è pedante e non distoglie dalle meccaniche di genere, il tutto è ambientato all'interno di un palazzo con chiaro intenti di creare atmosfere claustrofobiche e di ghettizzare, per l'appunto, i poveri della società creando gioco-forza un parallelismo con gli stessi ragni.Vanicek sa creare immagini suggestive e shot ben costruiti dove tramite giochi cromatici utilizzando luci verdi e rosse si creano buone inquadrature.C'è anche un buon utilizzo dei fuochi, di limitare la profondità di campo dunque del fuori fuoco.L'utilizzo della messa a fuoco, insieme all'ampissimo utilizzo della macchina a mano, sporca la messa in scena, dando anche quella sensazione di "racconto di periferia" cercando di infondere angoscia e atmosfere claustrofobiche.Vanicek però non è abile a sfruttare in pieno tali immagini e non ha la mano sapiente, film d'esordio, nel saper alimentare la tensione.Il film presenta diversi clichè e ci sono momenti con jump scare piuttosto standard e dinamiche generiche nel cercare di costruire l'atmosfera.Si nota che la regia non riesce a creare, far durare, i momenti potrebbero dare intensità, ci sono scene buone dove coesistono sia i ragni che le vittime della scena ma quest'ultime(le vittime) sono ignare della presenza dei ragni, dunque si crea suspance, però poi la gestione è piuttosto veloce, mancano dunque quei forti overtake e uno slow cutting che avrebbe alimentato l'atmosfera.L'ampissimo utilizzo della macchina a mano infatti spesso movimenta tutto un po' troppo, la traversata del corridoio è ben fotografata, è un momento potenzialmente altamente atmosferico però quei movimenti di macchina fluidi, rendono la dinamica troppo "veloce", più respiro, più inquadrature fisse
Stefano Gasperi
DirectionScreenplayCostumesScenographyMake-upSpecial effectsActing

Una gioia per gli occhi ed il cuore

Il Giappone ha da sempre esercitato un grande fascino nel mio immaginario: samurai, geishe, ronin, onore, dovere, zen, cerimoniali astrusi...Quando ho letto le prime impressioni su questa serie le aspettative erano davvero molto alte.Così mi sono deciso a salpare verso le coste nipponiche insieme al 'barbaro' inglese John Blackthorne e mai decisione fu più felice!Intrighi di palazzo, amori, tradimenti, onore, katane che mozzano corpi e chi più ne ha...Una scrittura essenziale, attori in stato di grazia (a parte Jarvis, che non mi ha convinto fino in fondo) con Sanada a gigioneggiare su tutto e tutti e la meravigliosa Anna Sawai a dare spessore ad un personaggio indimenticabile.Il valore aggiunto di questa serie, a parte l'impeccabile e maniacale cura nei dettagli scenografici e nei costumi, sta nel costruire la storia con lentezza, per farci assaporare appieno le dinamiche dei personaggi, i cambiamenti dei loro caratteri oppure carpire il turbinio di emozioni sconvolgenti in visi congelati in sorrisi di circostanza.Una serie che va vista e assaporata come un buon sake, lasciandosi portare indietro di 400 anni godendosi il viaggio con gli occhi e col cuore (l'ordine decidetelo voi).
Giacomo Pescatore
SoundtrackDirectionScreenplayCostumesScenographyMake-upSpecial effects

Fallout

Non conosco il videogioco e non so quindi se sia in alcun modo fedele a esso. La serie da Jonathan Nolan (già dietro il successo di Westworld) è però molto ben fatta e riesce ad alternare azioni, umorismo e colpi di scena di una trama che, come appunto già in Westworld, sotto la confezione di intrattenimento di lusso costituisce la critica di un capitalismo ottuso e senza scrupoli. Divertente e interessante.

Civil War

Al culmine di una delle (rare) sequenze d’azione di Civil war, per creare pathos, o sottolinearlo, a seconda dei punti di vista, Alex Garland, spara a tutto volume l’hip hop dei De La Soul.Seguono inquadrature dei superstiti condite da capelli al vento e slow motion come se piovesse; una roba che, se l’avesse fatta qualche altro regista (ad esempio Snyder) sarebbe oggetto di giustificate e facili ironie.Ma procediamo con ordine.Come ci avvisa gentilmente il titolo stesso, gli Stati Uniti sono dilaniati da una guerra civile.Texas, California e Florida hanno dichiarato la secessione mentre il Presidente, al suo terzo mandato, è asserragliato a Washington.Come siamo arrivati a tutto questo? Da quanto tempo procede la guerra? Garland non fornisce nessuna spiegazione, ci cala in media res, forse con l’intento di rendere universale la sua narrazione; nel frattempo infatti c’è stato l’Assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 quindi perché sprecarsi più di tanto?La fotografa Lee Smith (Kirsten Dunst) ed il collega Joel (Wagner Moura) decidono di provare a raggiungere la Casa Bianca per intervistare il Presidente e a loro si uniscono l’anziano Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la giovane Jessie (Cailee Spaeny).La trama di Civil war è ridotta all’osso ed assomiglia più che altro ad una sorta di macabro videogioco con più livelli di difficoltà.I personaggi poi, di fatto, non sono pervenuti.C’è la celebre fotoreporter apparentemente insensibile agli orrori dopo averne visti tanti, l’anziano collega che non vuole mollare la presa, Joel che vive in una sorta di stato di esaltazione continua dovuto all’adrenalina e Jessie, apparentemente giovane ed ingenua che si capisce dopo pochi secondi che in realtà è quella pronta a tutto pur di affermarsi come fotografa.Non c’è nessun approfondimento psicologico ed invero, a voler fare le pulci, a parte Sammy, gli altri non si capisce bene per chi lavorino

I tre moschettieri - Milady

Recensione del film per intero(sia la prima parte, D'Artagnan, che la seconda, Milady). I Tre Moschettieri di Bourboulon ha buone scene d'azione in piano sequenza ben dirette, la macchina da presa si muove, segue gli scambi di spada tra i personaggi e tramite anche la macchina a mano sa "sporcare" la resa dando proprio la sensazione di duelli serrati, che affannano i personaggi.A livello estetico di sono delle buone inquadrature e una comunque non male messa in scena di base, sono particolarmente belle le scene che tramite una buona fotografia sfruttano i tagli, i fasci di luce che entrano negli interni creando momenti dal bell'impatto visivo.Essendo il film la riproposizione del romanzo di Dumas, ha il fardello di voler ripercorrere il tutto, dunque si ha un po' la costante sensazione di correre un po' troppo, gli avvenimenti sono veloci, c'è poco respiro e seppur c'è voglia e intento di stare dietro ad un po' tutti i personaggi, questi non hanno tutti lo stesso spessore e utilizzo.Di partenza, manca una costruzione dell'amicizia dei tre moschettieri, il film inizia con l'arrivo di D'Artagnan a Parigi dunque i tre, Athos, Aramis e Porthos già si conoscono e sono affiatati tra loro, però questa fedeltà tra di loro non è "sentita" è di fatto presentata ma mancano delle scene che mostrino il loro legame, perciò anche la buona sequenza per resa visiva del carcere di Athos, il suo testamento che parla dei legami, dei suoi lasciti ha poco impatto a livello emotivo, senza contare i tre moschettieri più D'Artagnan sono stati insieme, a livello di film, per una pochissimo, dunque si nota un certo andare di corsa.Si riesce comunque a costruire il background di Athos, il suo tormento ed il film funziona nel suo complesso nel costruire personaggi grigi, anche gli stessi moschettieri, D'Artganan

Le apparenze

Marc Fitoussi, regista francese, firma un film intelligente e ben costruito. E' possibile, infatti, vivendo all'estero e avendo un buon tenore di vita, godere di ciò che si ha e costruirsi un mondo più di apparenze che di realtà. La protagonista in questione scopre il tradimento di suo marito, ma ella stessa non è indenne dalla trasgressione, sia pure a seguito di ciò che è successo. Cerca la vendetta, ma ella stessa è cercata. A un certo punto ci sarà anche una tragedia, le apparenze saranno a quel punto molto utili per uscirne fuori. Ma niente sarà come prima, la realtà reclama la sua parte e la vita dei protagonisti cambierà, ci saranno molto probabilmente altre apparenze. Vienna è l'ambiente, si percepisce ma non si vede molto. La musica c'è perché il protagonista dirige un'orchestra, ma questo è soprattutto un pretesto e l'occasione, la colonna musicale quasi non ne risente. C'è anche la biblioteca francese di Vienna, infine, ma anch'essa è uno sfondo. In primo piano ci sono delle persone che si agitano mosse dai propri sentimenti, curiosità e dicerie. Molto spesso, appunto, apparenze.

The Miracle Club

Le tre gentili signore, di differente età, che lasciano per la prima volta l'Irlanda per un viaggio a Lourdes, credono ai miracoli. Toccherà al loro parroco spiegare come stanno le cose. Questa è la cornice. La sostanza è che anni prima una quarta signora aveva lasciato l'Irlanda per necessità, ora è tornata, si unisce alle tre in cerca di miracoli e questo servirà a chiarire le cose tra loro. Non tutto scorre perfettamente nel film, ma l'insieme riesce a sfuggire ai pericoli di religiosità vera o presunta collegati a Lourdes, e restituisce un'esperienza in definitiva laica di ciò che la vita offre, nei condizionamenti culturali di ciascuno. Interpretazione molto buona, in particolare quella della quasi novantenne Maggie Smith. La serata passa piacevolmente.

The lovers - Ritrovare l'amore

Per un certo tempo la storia stenta a decollare, o forse non si capisce bene quale storia sia. Non è facile mettere in scena un racconto in cui la coppia, formata da due che da tempo hanno relazioni stabili fuori dal matrimonio e anzi stanno per divorziare, quali all'ultimo momento (senza rinunciare a ciò che era previsto) ritrovano il piacere di avere un amante… tra di loro. Una specie di circolo vizioso, dunque, reso con qualche salto logico forse, ma alla fin fine abbastanza piacevole, se inteso come un gioco di immagini. Quanto poi possa essere vero, ognuno se ne potrà formare una sua opinione.

Fuori dall'oscurita

Out of Darkness è un horror ambientato nel paleolitico con una struttura che in parte si rifà a film come Alien e Predator dove però nel terzo atto si cambierà un po' registro incentrando il tutto sul tribalismo umano su come tale specie si distrugga a vicenda.Cumming gestisce piuttosto bene il mistero, la creatura, il predatore, che sembra aggirarsi tra il clan dei protagonisti non è mostrata da subito, la regia funziona proprio nel non mostrare.La messa in scena fa il suo dovere, le scene di notte, tra il fuoco, funzionano bene, così come quelle tra le nebbia che riescono a creare la giusta atmosfera.Anche le tempistiche, gli attacchi del predatore non sono diretti, la regia seppur tramite meccanismi, si prende i suoi tempi prima degli agguati.Il solito espediente invece della creatura che si aggira in penombra per alimentare la tensione sa di troppo abusato e stravisto, nulla di gravissimo ma nel 2024 è qualcosa di evitabile.La protagonista Beyah è una ragazza che inizia ad avere le mestruazioni, ciò simboleggia anche il suo cambiamento, la sua maturazione, infatti da ragazza che "deve adempiere" ai bisogni sessuale del capo-clan Adem, diventerà una cacciatrice.Le dinamiche del gruppo si incentrano sul fatto che Adem ha promesso una terra fertile dove vivere ma in mezzo a loro c'è solo oscurità, Odal, il più anziano, è quello più impaurito ed infatti vorrà sacrificare dei membri del gruppo alle creature che crede essere un demone.Se comunque Odal ed anche Adem, quest'ultimo anche tramite la voglia di salvare il figlio Heron, sono personaggi si di funzione ma che per un film del genere fanno il loro, Ave l'altra donna presente nel gruppo e Geirr, il braccio destro di Adem rimangono un po' troppo in superficie senza esprimere troppo il loro punto di vista.Ave ha un dialogo proprio

Dr. Cheon e il talismano perduto

Action-fantasy con venature comedy che ha anche una storia tutto sommato interessante, si è della parti dello sciamanesimo, uno stregone imprigionato da un talismano vuole liberarsi dall'incantesimo e Cheon, l'erede dello sciamano che ha imprigionato la stregone, si ritroverà a fronteggiare tale situazione e a scontrarsi con il villain.L'inizio del film è divertente, Cheon e l'aiutante di fatto sono dei truffatori che guadagnando fingendo di cacciare degli spiriti, ci sono gag e momenti ironici.Quando il film si addentra più nel profondo della storia, nel fantasy e nelle atmosfere (molto)vagamente "horror", la messa in scena non si dimostra all'altezza.Purtroppo c'è un fortissimo utilizzo di cgi che ammazza i tentativi di creare atmosfera e la regia sembra attestarsi su livelli standard, non ci sono scenari impattanti o momenti davvero suggestivi, ad esempio la parte del cimitero manca di atmosfera anche perchè la fotografia è piuttosto base e di quelle già viste in tantissimi altri film che utilizza dei classici filtri e molti lens flare.Ci sono movimenti di macchina e la regia punta ad essere dinamica per movimentare il tutto e dare ritmo, quello che manca è un po' di creatività e ricercatezza.Se il personaggio di Cheon ha il suo background ed il suo obiettivo, la ragazza che vede gli spettri non è adeguatamente ben sfruttata ne troppo caratterizzata.Nello scontro finale è carino che tutto il team dei protagonisti partecipano attivamente, però anche qui troppa cgi, anche il villain, quando lo stregona mostra il volto indemoniato sulle tinte blu ha una brutta resa visiva e ciò toglie atmosfera.Le catene infuocate in cgi sono brutte a vedersi perciò il tutto non riesce ad avere la giusta portata.Con più accortezze sarebbe potuto un essere un buon film godibile ma messo così in scena perde troppo.

Settembre

E ora parleremo fino al mattino?G. Parise Robot Dreams è una conchiglia del Paleocene. Un’impronta fossile, quel libro che amavi da bambino e che ritrovi per caso durante un trasloco, dopo che avete deciso di lasciarvi perché a volte accade che l’amore finisce. Robot Dreams è la cosa giusta, non quella desiderata. L’ultimo sguardo al panorama prima di salire sul treno e andare via. Le scatole di pastelli, lo scialle della nonna, il cambio di stagione, l’odore del cappotto di tuo padre col quale non parli più e ti manca da morire, le incisioni adolescenti in platani d’amore. Robot Dreams è un sorriso nel buio, la lunga passeggiata mortale del troglodita nostro antenato che dipingeva pareti e mangiava cuori pulsanti, è lo sguardo basso e il sorriso accennato che ti invadono il volto quando nella folla di un marciapiede incroci quella persona che un tempo chiamami amico, sorella, tesoro, amore, e che ora non sai salutare – e lo sai, e lo sa anche lei, e tutto intorno la gente va non so dove. Robot Dreams è un meraviglioso libro di poesie che ha venduto diciassette copie. Robot Dreams è una cicatrice. Robot Dreams è una lunga serie di colazioni sul terrazzo, alle 8 del mattino, mentre fuori tutto è in fiore e momentaneo. Robot Dreams è quello che succede dopo che hai realizzato il tuo sogno. È la coniugazione di un verbo di cui non sei sicuro – quindi controlli il dizionario. È il gesto gentile di uno sconosciuto in metropolitana, in un mattino di pioggia e tristezza metafisica. È lo spazio bianco tra le vignette, è la caducità di Rilke, è l’altrove di Pessoa, è Garcia Lorca quando dice che il lauro si è stancato di essere poetico. Robot Dreams è la disperazione siderale, cosmica, primigenia, intergalattica, esadecimale,

Late Night with the Devil

Horror-comedy che si rifà al cinema di sette degli anni '70 con l'idea di incentrare il film durante il late show di Jack Delroy. Viene dato anche il contesto di come i conduttori televisivi si sfidavano a suon di ascolti, la "rivalità" tra Delroy e il leggendario Carson, dunque un film che parla di avidità, di come ottenere il successo a qualsiasi costo, anche oscuro, in linea con diversi film sul tema.I Cairnes, la coppia di registi, hanno già diretto horror-comedy divertenti, come Scare Campaign, sotto l'aspetto tecnico si nota il lavoro nel far apparire il film come un vero e proprio episodio del late night, il problema soggettivo è che ciò può risultare poco cinematografico perchè il tutto è volutamente e appositamente televisivo.Il film mostra il susseguirsi di ospiti del late night nella puntata di Halloween fino ad arrivare a Lilly, ragazzina, che dice di essere posseduta da un demone.La puntata del late night prosegue tra scettici, momenti di paranormale inspiegabili, trucchetti, rivelazioni e tratti di vita di esoterici che emergono in Delroy.Il momento di Lily-demone è piuttosto ironico e diverte anche per ciò che dice, quando poi nel finale il film deve mostrare l'orrore, pur comprendendo pienamente l'intento, risulta un po' generico, forse è proprio la matrice stessa da cui nasce il film a non prendermi molto, il suo essere televisivo, dunque il demone si comporta come molti altri visti nei film e l'abbondante cgi non rende troppa giustizia.Comunque ci sono momenti buoni anche in questo frangente, la gola tagliata funziona bene ed è apprezzabile come poi il film cambia frame rate, dal 4:3 al formato cinematografico per mostrare il delirio mentale di Delroy.C'è una scena suggestiva efficace, con la setta presente nel palco ed il film si può leggere anche come un revenge movie, il prezzo del

Un suono che fa ben sperare

Non poteva che essere il film di una cantautrice questo Gloria! esordio cinematografico di Margherita Vicario, figlia d'arte e affermata cantautrice italiana classe 1988. La neoregista costruisce Gloria! sui suoni. Ogni gesto produce un rumore che con la dovuta ritmica diventa musica (in alcuni passaggi questa tecnica ricorda quella di Lars Von Trier in Dancer in the dark) fino all'inserire in modo più sfacciato e diretto delle canzoni vere e proprie. Poco a poco l'opera si trasforma da film in costume a musical. Questo stile conferisce a Gloria! vitalità e ritmo, caratteristiche effettivamente spesso troppo lontane dal cinema nostrano. La regia della Vicario non rinuncia ad accompagnarci nei meandri di una cantina dove solo la musica di un pianoforte ritrovato dona speranze alle orfane protagoniste. Storicamente non ineccepibile e trama che assomiglia più ad una fiaba piuttosto che a un documentario, Gloria! paga un revisionismo femminista oggi troppo modaiolo. Sembra che dopo C'è ancora domani della Cortellesi, la carta per avvicinare il pubblico al grande schermo sia quella del femminismo, purtroppo, semplicistico. E dire che la sceneggiatura sembra ispirarsi ad un romanzo rigoroso come Stabat Mater di Tiziano Scarpa. Interessante il cast corale femminile che non si risparmia e ha la facce giuste che risultano credibili. Coraggio nei ruoli maschili con Paolo Rossi e Elio che disegnano personaggi seri. Passato in concorso all'ultimo Festival di Berlino Gloria! è un esordio che sebbene non convinca, sopratutto a causa della sceneggiatura e di un finale davvero posticcio, lascia ben sperare perché la Vicario sembra avere comunque una visione di cinema più moderna e viva della media. Vedremo.

Perfetta illusione

Tre vite che saranno modificate a partire dalle menzogne ripetute di uno che preferisce cercare una difficile carriera nella pittura rispetto a lavori subordinati. Questa è la sintesi estrema di un film che è abbastanza ben curato nella sceneggiatura e nello svolgimento della storia (non vedremo mai i dipinti di costui, e in effetti non sono questi che fanno la differenza). Più facili le due parti femminili, più difficile la parte assegnata a chi a partire da quasi subito nel film non sa fare altro che inventarsi qualcosa: se la cava benino, però. Se non che un tragico imprevisto metterà tutto in discussione, facendo emergere il tradimento in maniera ancor più eclatante: un colpo di scena che contribuisce ad un giudizio positivo sul film, che in sé (come il titolo fa pensare) è la storia di un fallimento. Nessun moralismo, la verità vera sarà un'altra. D'altra parte spesso la vita è proprio così.

Civil War

Civil War racconta dell'indifferenza delle immagini che rischiano di perdere il loro valore perciò Garland narra la guerra civile americana seguendo il team di giornalisti che devono riportare i fatti, immortalare i momenti tramite le fotografie dove l'essenza stessa del giornalismo vacilla in quanto si parla di americani che si uccidono a vicenda, perciò la giornalista-fotografa Lee Smith ha dubbi, traumi, aveva iniziato la sua carriera fotografando scene di guerra al di fuori degli States proprio perchè cioè non accadesse nella sua nazione di appartenenza, quasi come un monito, ma ora dovendo riportare la guerra civile americana non riesce più ad essere così distaccata anche perchè i morti, le atrocità sono immagini che la perseguitano anche oniricamente.Garland fa un ottimo lavoro con il fuori fuoco e nel togliere la profondità di campo in determinate situazioni. L'inizio con il presidente che tiene il discorso tramite le scelte registiche richiama una sensazione di incubo, la storia non è narrata ne prende parte alle due fazioni contrapposte ma durante lo svolgimento del film ci sono informazioni per comprendere il tutto e le scelte politiche significate che Garland compie.L'alleanza occidentale che si contrappone ai secessionisti, è composta da California e Texas, due stati contrapposti ma uniti per combattere il neo-fascismo, il presidente è al suo terzo mandato, anti-costituzionale, ha sciolto l'FBI dunque anche se il film non si sofferma sulle questioni della civil war, sulle due fazioni, da contesto.Sulle scelte registiche, tramite i fuori fuoco Garland riesce a stare sempre nei suoi personaggi, nonostante l'enormità di ciò che accade, i bellissimi campi lunghi, il regista non perde di vista i personaggi e ciò che prova Lee Smith.La giovanissima Jessie invece, che ha come idolo proprio Lee Smith, vuole seguire le orme di quest'ultima perciò si instaurano degli aspetti interessanti tra le due.Jessie all'inizio è
Rael70
DirectionScreenplayMake-upSpecial effectsActing

La presenza umana nello Spazio porta a conseguenze fisiche e psicologiche irreversibili?

Di un certo Peter Harness, sceneggiatore inglese, sentiremo parlare a lungo perché chi ha stoffa, prima o poi, riesce ad emergere e la sua creazione “Constellation” è destinata ad essere una delle migliori serie tv fantascientifiche mai concepite e prodotte. Basandosi su un cast decisamente di alto livello, dalla protagonista la svedese Noomi Rapace (una delle mie attrici preferite) a Jonathan Banks (chi ha visto la serie “Breaking Bad” dovrebbe ricordarselo), da James D'Arcy ("Cloud Atlas", “Jupiter, il destino dell'Universo”, “Dunkirk”, “L'uomo di neve” fino ad “Oppenheimer”) alla veterana Barbara Sukowa per giungere alla piccola Rosie Coleman (dodicenne all'epoca delle riprese), Herness si avvale del lavoro di tre registi per la direzione degli otto episodi: Michelle MacLaren, Oliver Hirschbiegel e Joseph Cedar, tutti esperti nel settore seriale. Lo schema narrativo è sempre lo stesso: dove termina la puntata precedente inizia quella successiva e gli episodi durano mediamente 55 minuti. La serie ha un grande merito, quello di mantenere altissimo il livello di mistero dall'inizio alla fine non annoiando mai lo spettatore.Si tratta di una storia che si svolge ai giorni nostri e che ha come protagonista principale l'astronauta svedese Johanna Ericsson (da tutti chiamata semplicemente Jo) che è uno dei membri dell'equipaggio della celebre stazione spaziale internazionale ISS in orbita permanente intorno alla Terra.L'equipaggio si occupa di svariate cose tra cui effettuare degli esperimenti in assenza di gravità e Jo, approfittando del collegamento quotidiano con la sua famiglia (il marito Magnus interpretato da D'Arcy e la figlia Alice interpretata dalla Coleman), mostra alla figlia le attività che si stanno svolgendo in quel momento tra cui una in particolare svolta dal Comandante Paul Lancaster (interpretato da William Catlet).Alice è affascinata dall'ambiente in cui, da mesi, vive la madre e sebbene sia orgogliosa di lei, desidera tanto che la mamma ritorni a