A conferma dell’annata eccezionale del cinema italiano, approda al TFF, dopo essere stato presentato in prima mondiale alla Semaine de la critique del 74° Festival di Cannes, l'ennesimo gioiello nostrano, lo straordinario film d’esordio di Laura Samani, che ne firma anche il soggetto e la sceneggiatura. 

Protagonista della pellicola è il “Piccolo corpo” del titolo, appartenente ad una bambina nata morta in un'isoletta del Nord-Est durante un inverno agli inizi del ‘900 e che come tale la tradizione cattolica non reputa degna di ricevere il battesimo e il nome che ne deriva. “Se non hai un nome non esisti”, si sentirà dire più avanti nel film, ma Agata, la giovane madre della povera bimba relegata per sempre in un limbo (a detta del prete che le ha negato il battesimo), non si dà pace e, seppur straziata dal dolore e tra lo stupore del rassegnato (e invertebrato!) marito e delle anziane del paese, si fa forza e decide di intraprendere un lungo viaggio. Con il corpicino chiuso in una scatola di legno, si incammina verso un fantomatico santuario sulle montagne friulane (sembra che ne siano esistiti veramente lungo tutto l'arco alpino) dove secondo la superstizione locale i bambini nati morti vengono resuscitati per un istante lungo un respiro, sufficiente però a battezzarli.  

Ha inizio così un percorso ricco di insidie durante il quale la regista indugia spesso sul bel volto di Agata (interpretata da un’intensa Celeste Cescutti) rendendoci così più partecipi delle sue ansie, della sua disperazione e della sua incredibile determinazione nel portare a termine la missione che se avrà successo le permetterà di riabbracciare la sua bambina nell'Aldilà. Durante il suo tragitto sulla neve, che non aveva mai visto, la giovane donna incontra uno strano e solitario ragazzo (o ragazza?) che, come si desume dal suo nome, Lince, la neve la conosce bene e le offre il suo aiuto in cambio di metà (che si rivelerà poi una metafora stupenda) del misterioso contenuto della scatola. Scopriamo così che Lince (personaggio struggente che mi è piaciuto moltissimo) era stato ripudiato dai genitori perché “diverso” e che il viaggio per lui diventa simbolo di un percorso alla ricerca di una propria identità (al pari del “piccolo corpo”). Passando tra paesaggi bellissimi (quasi magici) e luoghi silenziosi (tra l'altro nel film, recitato in dialetto, si parla pochissimo) abitati da una società patriarcale che cerca soltanto di approfittare di loro, Agata (che non molla per un attimo il suo prezioso tesoro) e Lince si dirigono imperterrite verso l'agognata meta (stupenda la scena con richiami “danteschi” dell’attraversamento in barca del lago alpino) fino all'epilogo di una potenza emotiva devastante.