Effettivamente potevo immaginare a cosa andavo incontro, ma con leggerezza mi aspettavo un viaggio più “one the road”, invece “Pinocchio” di strada ne ha fatta molta di più.
Il confronto con “Pinocchio” non è casuale. Lui burattino di legno, ora umano, in mezzo alle cattiverie di chi umano lo è per nascita, ma non per cuore; in cerca di risposte, con ingenuità ed arroganza.
Ecco qui “Il Figlio”, umano ma dal cuore di legno (quindi un Pinocchio inverso), costretto dagli eventi a ripercorre la strada (qui il fiume) alla ricerca inconsapevole dell’amore che non ha mai conosciuto/ricevuto.
Paesaggi che, …“mai una gioia”: abbandono, sporcizia, miseria e fame sono l’arido contesto in cui si dipana una storia semplice, fatta di pochi personaggi, tutti ben caratterizzati, tutti oltremodo “disperati”, senza futuro.
Accompagnati (in un viaggio solitario) da inquadrature e movimenti di camera sempre attenti ai dettagli, ma soprattutto accompagnati da una strepitosa colonna sonora di Motta, si arriva ad un finale alla Blade Runner; dopo tanta pioggia e tanto pessimismo, un raggio di sole e una “nuova speranza”. Poco prima il passaggio atteso per tutto il film, la confessione, arrivata tramite un Deus Ex-machina particolarmente risolutivo, forse troppo risolutivo (va bene far funzionare le scene, ma la credibilità non andrebbe abbandonata).
Bel film, forte nel messaggio, ottimamente messo in scena, ma a mio parere deboluccio non solo in un paio di difetti di scrittura, ma anche nell’essere più fiaba che romanzo.