È un personaggio debordante Charlie, il protagonista di The whale. Talmente grosso da non stare in uno schermo 4:3 scelto da Aronofsky come ulteriore gabbia del protagonista. Perché la sua è una presenza ingombrante al centro di un appartamento che non può vivere, perché non può che muoversi con un deambulatore tra un cartone per le pizze e l'altro.
Basato su un testo teatrale che sopratutto nella prima parte regala dei dialoghi davvero sapidi e trasposto sul grande schermo mantenendo l'unità di luogo The whale colpisce duro e non si risparmia nella disamina dell'animo umano. I temi sono tanti e si svelano scena dopo scena anche se alla fine il rischio di accumulo fa capolino.
Infatti la pellicola sbanda proprio nella parte finale quando cede al sensazionalismo e Aronofsky perde il controllo eccedendo in simbolismi e piagnistei. Sarebbe bastato eliminare il personaggio della ex moglie? Senza di lei e senza dissolvenza finale probabilmente saremmo stati di fronte ad un'opera migliore.
Stupefacente Brendan Fraser che seppur aiutato da un trucco eccellente regala un'interpretazione coinvolgente e sentita. Charlie lo crea con gli occhi, non con la gommapiuma, e questo è solo merito suo. Un Oscar come miglior attore effettivamente meritato e in chiave personale un'interpretazione che sembra chiudere un arco narrativo aperto col suo personaggio di Demoni e dei.
Probabilmente è un problema di chi recensisce, ma Aronofsky è sempre troppo. Questa volta forse fermato da una sceneggiatura più compatta sembrava aver trovato il giusto equilibrio... Peccato per l'eccessivo finale. Resta un film profondo da vedere perché riesce a parlare di famiglia, di religione, di omosessualità, di famiglie allargate, di depressione...
Forse un pò troppo per meno di due ore, ma vale la pena dargli uno sguardo.