“Chiamatemi Ismaele”. È tutto alla deriva.Continenti, significati, relazioni. Charlie si alza in piedi.È sulle punte. Un salto.Un volo. The Whale. Di Aronofsky ho visto tutto. Per ragioni diverse, ho amato ognuno dei suoi film (solo Noah un gradino sotto tutti gli altri). Eppure è buffo, quando mi è capitato di fare, anche per gioco, una top ten di registi che più amo, lui non l’ho mai messo. La vita è strana. A ogni modo, mi sono avvicinato a The Whale con grande rispetto, e tanta voglia di vederlo. La visione è stata travolgente. L’ho sentito profondamente mio. Un’opera intima, potente, struggente. Ho pianto e ne sono contento. I “salti” finali di Aronofsky sembrano essere un tratto ricorrente della sua poetica. Hanno molto in comune, da questo punto di vista, i personaggi di The Wrestler, Il Cigno Nero e The Whale: meglio morire di vita che vivere di morte. E allora si salta per raggiungere le stelle, toccarle anche solo per un attimo, prima di precipitare al suolo e frantumarsi. Perché è meglio morire da stella che vivere da buco nero. L’obesità, mi pare evidente, è un elemento assolutamente marginale. Non è un film sull’obesità. Si tratta di una variabile che, appunto, avrebbe potuto essere qualunque altra cosa. L’alcolismo o il gioco d’azzardo, per esempio. Qualunque attività che possa fungere da punizione, da condanna, da reclusione, da espiazione. Avrebbe potuto essere anche la scrittura, o il cinema (vedi Just Don’t Think I’ll Scream), o la danza (Nina ne Il Cigno Nero), o lo sport (Randy the Ram in The Wrestler), o qualsiasi altro elemento: noi umani siamo bravi a creare prigioni con qualunque cosa. Il parallelo con Cristo è sensato e opportuno. Del resto, Aronofsky utilizza spesso temi biblici, declinandoli in narrazioni che oscillano tra la metafora e la metonimia, traLeggi tutto
Appena visto lo struggente finale, in una specie di immediata epifania (ma le epifanie sono immediate per definizione) mi sono venuti in mente 3 film, sbam, come se quel finale li avesse racchiusi tutti.Con una certa emozione mi sono accorto poi che due dei tre film che mi sono esplosi in testa erano dello stesso Aronofsky.Il Cigno Nero finisce con la (quasi sicura) morte della protagonista, con un ultimo salto.The Wrestler finisce con la (quasi sicura) morte del protagonista, con un ultimo salto.The Whale finisce con la (quasi sicura) morte del protagonista, anche qui con un ultimo ed estremo gesto fisico.Tre film (i soli che ho visto del regista oltre Madre!, per me 4 film straordinari tutti) che finiscono tutti allo stesso modo, con il protagonista che muore (lo diamo per certo anche se non è mai esplicitato del tutto).Eppure, ed è questo il punto di incontro più emozionante, tutte e 3 le morti nascondono un senso di "felicità" al loro interno, il raggiungimento di un obiettivo (inseguito peraltro per tutto il film).Per Nina arriva finalmente quel senso di perfezione che tanto ricercava.Per Randy the Ram il momento che anche lui tanto ricercava, quello del tornare ad essere amato, ad essere l'idolo della folla.Per Charlie, il professore obeso del film, quello del ricongiungimento affettivo con la figlia, in qualche modo fino a quel momento bloccato da 9 anni nella tesina che la stessa scrisse su Moby Dick.I finali sono tutti e 3 pieni di pathos, empatici, dolorosi, eppure quelle 3 persone hanno, in qualche modo, "deciso" di morire in nome di ideali o di emozioni per cui, per l'appunto, valeva la pena anche morire.E' vero, le differenze ci sono, ad esempio il nero che inghiotte lo schermo poco dopo che Randy salta dalle corde è opposto al bianco dell'ascensione diLeggi tutto
È un personaggio debordante Charlie, il protagonista di The whale. Talmente grosso da non stare in uno schermo 4:3 scelto da Aronofsky come ulteriore gabbia del protagonista. Perché la sua è una presenza ingombrante al centro di un appartamento che non può vivere, perché non può che muoversi con un deambulatore tra un cartone per le pizze e l'altro.Basato su un testo teatrale che sopratutto nella prima parte regala dei dialoghi davvero sapidi e trasposto sul grande schermo mantenendo l'unità di luogo The whale colpisce duro e non si risparmia nella disamina dell'animo umano. I temi sono tanti e si svelano scena dopo scena anche se alla fine il rischio di accumulo fa capolino.Infatti la pellicola sbanda proprio nella parte finale quando cede al sensazionalismo e Aronofsky perde il controllo eccedendo in simbolismi e piagnistei. Sarebbe bastato eliminare il personaggio della ex moglie? Senza di lei e senza dissolvenza finale probabilmente saremmo stati di fronte ad un'opera migliore.Stupefacente Brendan Fraser che seppur aiutato da un trucco eccellente regala un'interpretazione coinvolgente e sentita. Charlie lo crea con gli occhi, non con la gommapiuma, e questo è solo merito suo. Un Oscar come miglior attore effettivamente meritato e in chiave personale un'interpretazione che sembra chiudere un arco narrativo aperto col suo personaggio di Demoni e dei.Probabilmente è un problema di chi recensisce, ma Aronofsky è sempre troppo. Questa volta forse fermato da una sceneggiatura più compatta sembrava aver trovato il giusto equilibrio... Peccato per l'eccessivo finale. Resta un film profondo da vedere perché riesce a parlare di famiglia, di religione, di omosessualità, di famiglie allargate, di depressione... Forse un pò troppo per meno di due ore, ma vale la pena dargli uno sguardo.Leggi tutto
Pur mantendoli come sola cornice e non come fulcro della vicenda, Aronofsky torna a riflettere sui limiti fisici di corpi portati all'estremo e allo stremo. Scafandri mortali per anime immortali. Con cui affondare senza più riemergere. Dove non conta solo qual è la massima tollerabilità carnale (o anzi, in questo caso, non conta quasi per niente), ma anche e soprattutto come rimanere umani in quelle condizioni, come apparire vivi più che viventi agli occhi esterni. Corpi da indossare, se non addirittura da consumare. Soprattutto in una situazione come quella di Charlie in cui si è soli persino di fronte a se stessi (e in cui tutti, invece che soli, vogliono essere unici - esemplificativo in questo senso il personaggio di Liz, che si occupa di Charlie ma ne vuole avere “l’esclusiva”).In quell'oceano rinchiuso in una stanza, popolato da mostri marini terrificanti, il corpo di Charlie si annulla del tutto nel piccolo riquadro nero di una videochiamata con la fotocamera spenta.Ma anche dietro quell'abisso di pixel rimane qualcosa, un primo indizio di ciò che poi dopo nel film toccheremo più da vicino, nel dolore e nella speranza: l'umanità, che in quella voce graffiata dà autentici consigli di scrittura a giovani online. Perché anche senza volto non si è anonimi, finché l’anima appare (sincera) anche senza essere guardata.Per Charlie ogni movimento però è un macigno, un sibilo stridente di un corpo che ogni ora si avvicina per scelta alla sua fine, all’aumentare della pressione sanguigna, al lento appesantirsi di un respiro che via via si spegne. Charlie sente una colpa gigantesca e così per espiarla sceglie di diventare colpevole della sua stessa vita, artefice della sua lenta morte. In quell'oscuro mare di solitudine dalle tapparelle sempre abbassate, Charlie affoga infatti nel cibo, sempre più verso l'abisso: patatine, snack, bibite. A porzioni triplicate.Leggi tutto
Spaccacuore. Se mi chiedessero di descrivere The Whale in una parola, non penso di poterne trovare una migliore. Mi ha letteralmente squarciato il cuore, ho pianto tutte le lacrime del mondo.Piccola premessa: Ho “conosciuto” Brendan Fraser guardando La Mummia ed è stato amore a prima vista. Sicuramente l'estetica ha giocato un ruolo altisonante allora…ma da curiosona quale sono, perchè voglio capire se oltre la confezione, c'è anche del contenuto….sono andata con molta fatica (all'epoca lo streaming non era nemmeno un'idea LOL) a cercare tutti i suoi film. Sapevo che il giorno in cui avrebbe sollevato La statuetta sarebbe arrivato, ma Brendan è stato anche sfortunato nella sua vita/carriera e quel benedetto giorno ad un certo punto sembrava molto lontano. Che dire…di Oscar, di premi, ne meritava milioni. Solo un vero fuoriclasse poteva riuscire a trasmettere tanta delicatezza ad un personaggio tanto possente nell'aspetto. La trama è essenziale, esattamente come lo stile del film. La storia è quella di Charlie, insegnante di inglese solitario, che non vuole mostrarsi al mondo per via di una grave obesità che non gli consente di potersi reggere in piedi e che cerca di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente (una immensa Sadie Sink) con cui non ha più rapporti a causa del divorzio dei genitori, al seguito del coming out di Charlie.L'uomo è totalmente consapevole di non avere molto da vivere, situazione che strazia l'anima. Charlie non fa nulla per salvare se stesso, ma fa di tutto per salvare le persone che ama, sua figlia in particolare, che sa benissimo essere sveglia, intelligente e capace, sotto quella corazza ermetica, piena di rabbia e stracolma di apparente perfidia che mostra al mondo, in particolare a suo padre. Un padre che più viene denigrato, insultato e ferito, più risponde con amore, bontà, positività. E' un positivoLeggi tutto
Un film facile e difficile al tempo stesso.Commovente ma non ricattatorio.Con un protagonista enorme (in tutti i sensi) che recita in maniera straordinaria ed anche solo con uno sguardo dolente che non può lasciare indifferenti.Bello, bello, bello.Leggi tutto
Un solitario insegnante inglese affetto da una grave forma di obesità cerca di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente, con la quale ha perso i contatti, per un’ultima possibilità di redenzione.