Satoritudine

 

 

 

Ancora un poco, un attimo di quiete nel vento, e un’altra donna mi partorirà.

K. Gibran

                                                                                                                                             

 

 

 

 

Il problema non è mai stato l’atterraggio, né tantomeno la caduta. Il problema è sempre stato il viaggio. Tutto ciò che si vede, tutto ciò che si sente. Tutto ciò che ho visto, tutto ciò che ho sentito. Quello che non è mai accaduto, le cui conseguenze sono così vere. Per esempio, adesso. Tutti i colori del mondo sono qui, in questa stanza. Guardo la notte e la lascio fare. Alzo gli occhi al cielo e lo attraverso, abbasso lo sguardo e lo ritrovo, calpesto l’infinito. E c’è il rosso del sangue che urla nelle vene, e c’è il nero dei miei occhi che guardano le tue mani, e c’è il blu di quello che non esiste se non nella mia testa. Intorno e dentro ogni cosa, il vuoto. Come sempre, come mai, come soltanto adesso. Perché questa notte è l’ultima della mia vita, ma io non lo so. Dio, le sue mani, sono così belle. Non le rivedrò mai più, ma le cercherò per sempre. I colori, questi colori, tutti i colori, i tuoi colori. Entro nel vuoto e finalmente ballo. [Il vuoto è il luogo in cui fiorisce la dimensione poetica del significato, ma il “nulla” della poesia è l’espressione della sua funzione semantica non quella della sua genesi, poiché essa non si genera ex nihilo: il vuoto – della poesia, della vita – è cioè un vuoto paradossale, poiché carico di tutte le nascite. Ma ora torniamo nel vuoto, avevo appena cominciato a ballare]. Musica, suoni, rumori, colori, ripetizione, ripetizione, ripetizione, onde che si frangono sulle rive dei miei occhi, perché tutto è tutto ciò che voglio: l’amore è la premessa, l’orizzonte la direzione e il cielo lo scopo (verbo). E poi, come sempre accade quando la felicità viene a trovarti, arriva uno sparo. Io la porta l’avevo chiusa, ma il destino ha le chiavi di ogni cosa. È un bagno piccolo, sporco, immerso nel vuoto. Il proiettile ha attraversato gli atomi dell’aria, gli atomi della parete, dei miei vestiti, del mio corpo. Adesso ho un buco nel torace e fiotti di sangue che sgorgano abbastanza lentamente da lasciarmi il tempo di capire che la puzza di questo piccolo e insignificante bagno sarà la mia tomba. Il vuoto, il vuoto, il vuoto, (il vuoto). E le sue mani, e il cielo, e il viaggio appena cominciato. Questo è il problema, questa è la salvezza. E questo buco nel mio corpo che diventa varco spaziotemporale e quindi io lo attraverso (mi attraverso). E ti vedo, sorella mia, e ti vedo con lui, e vedo i vostri corpi, sento l’odore del sesso, vedo tutti i colori, attraverso i muri e le comete, non sono più qui eppure sono ancora qui, questo è il vuoto e io vi sono dentro. E quel libro che parlava di viaggi extra corporei, sai che forse aveva ragione. E quel momento in cui eravamo piccoli e dove tutto è cambiato, forse siamo entrambi morti in quell’istante e il resto della vita è stato solo inferno. LOVE. Il nome dell’hotel in cui l’amore non c’è, o forse sì, anche, ma dove sicuramente c’è l’unità di misura del tempo: il sesso. E tu sei con lui, e forse c’è anche l’amore. Io non lo so, non so più niente, non sono più niente. [Sono una frequenza che si ripete, sono una foglia suicida affetta da immortalità, sono un cielo ma di sangue, sono un bacio ma di fiori, sono un sogno ma da sveglio, sono il pavimento sporco di urina e sangue infetto, nient’altro che il niente che non si può capire. Ma ora torniamo nel vuoto, avevo appena cominciato a viaggiare]. Musica, suoni, rumori, colori, ripetizione, ripetizione, ripetizione, vite che si frammentano sulle scogliere dei miei occhi, perché niente è tutto ciò che voglio: l’amore è la promessa, il blu la cornice e il cielo lo scovo (spento). E passo di attimo in attimo, in tutti gli attimi infiniti della mia vita, e tu sei con me anche quando non ci sei, come in questo istante in cui brillano fortissimi i colori di LOVE e di VOID e credo anche di aver fatto molti sbagli di cui non ho mai implorato perdono. È tutto così chiaro, è tutto così oscuro, anche da quassù (ovunque io sia). È cambiato tutto, tranne il mio cuore che batte fortissimo. Malgrado l’impeccabile lavoro svolto dal proiettile che mi ucciso. Se rinasco, voglio rinascere luce tremolante in un giorno di pioggia. Sono entrato nel vuoto e ora eccomi qui. Mi guardo intorno e vedo solo corpi. E colori impazziti. E sesso e amore, ma soprattutto sesso, ma soprattutto vuoto. E io sono già caduto, sono già atterrato, ma non erano mai stati questi i veri problemi. Il viaggio continua ancora. Tutti gli attimi della mia vita (e tu ci sei sempre). Vedo un mare di sogni in frantumi, vedo ipotesi e aborti. Derive – di continenti e di significati. Esplosioni – di stelle e di emozioni. Le mie relazioni naufragate, riesco a vederle tutte. Guardo il volto di mia madre che mi sta partorendo, questo è il mio primo giorno di scuola, lo zaino coi dinosauri, crostatine per merenda, il quadrato di un binomio, le ginocchia sbucciate, un film, una carezza, un bacio, le pagine dei libri, gli amplessi, i successi, i decessi, le confessioni, i tradimenti, milioni di pastelli, le tue mani, io che cammino verso il bagno del locale, chiudo la porta, il proiettile che attraversa la materia e io che mi smaterializzo. Ballo come se non ci fosse un domani proprio perché non c’è. È finito tutto stanotte. Avrei voluto morire in un altro modo, ma ormai è fatta. Spero tanto che quel libro sulla reincarnazione avesse ragione. Va bene anche se rinasco lampione abbandonato, dico davvero. Mi accontenterei anche di essere granello di polvere, purché lei mi veda brillare per un attimo nel bianco della luce. Torno al LOVE e al VOID, entro nell’amore, entro nel vuoto [che da tanti punti di vista sono la stessa cosa – la stessa casa – lo stesso caos]. Io sono l’amore, io sono il vuoto. Ecco, vedi? È cambiato tutto, tranne il mio cuore mentitore. Perché anche da anima morta sono vivo e quindi ho fame di storie, di tramonti stordenti, di aurore fragorose, di luci al neon nella notte e nella pioggia, di ipotesi e mari ghiacciati, di danzare bendato sulle curve delle tue labbra. Mi fermo solo un attimo sull’immagine di un ricordo che non ho mai vissuto, e malgrado ciò è cicatrice. Soffio le candeline per il mio decimo compleanno, preparo il primo esame all’università, varco la soglia della sala professori nel mio primo giorno di lavoro. Quando ha nevicato per un giorno intero (e nella mia città non nevica mai), l’ultima volta che ho sentito mia nonna ridere (per quanto ci provi, non riesco a ricordarlo), le cose che non ho detto ma che volevo dire e il dolore che ho provato ogni volta (implosioni coronariche tipiche del vuoto che sono), le scatole di pastelli, io che le stringo forte i capelli in un bacio di brutale dolcezza, le delusioni, gli abissi di cui sono affetto, i piccoli infiniti che avrei potuto e voluto ma che invece. Ecco, esatto: vedo tutti gli invece. Alcuni fanno male, altri di più. Forse il vuoto è solo attesa. Il viaggio continua e sento la pelle che mi brucia, molto più di quanto qualunque proiettile possa fare. Non basterebbe l’esplosione di un miliardo di stelle per avere lo stesso fuoco che sento ogni volta che ti vedo, sento, tocco, pronuncio, assaporo, invento, canto, scrivo e allora blu. Ancora LOVE ancora VOID e ancora LOVE e ancora dentro e ovunque e sempre e io vedo me stesso, vedo te, vedo la mia famiglia, la mia vita, i miei amici, i miei occhi attraversati dalle lacrime. E vedo in una di queste lacrime il mondo che va avanti senza di me, perché forse quel libro si sbaglia e non c’è reincarnazione, non c’è altra possibilità. Eppure io sento che non può finire così. Sento che sono pioggia, piovo che sono sentire. Mi affaccio ai bordi del cosmo. Luci tremolanti immerse nella notte mi indicano una via. Attraverso le pareti dell’amore. Su un letto c’è una donna bellissima – potresti essere tu, forse sei proprio tu, sì devi essere davvero tu, sei tu– che sta facendo l’amore con lui. Tutti i colori diventano bianco, c’è solo luce. Sento un calore che sa di vita, di nascita, di lacrime, di poesia. Ancora un altro passo, ancora un altro istante. Io sono sempre io, ma non qui, non più, non solo, sono nel vuoto. Sento la luce, sento il battito del mio cuore, sento le lacrime che irrompono per raccontare quel mistero chiamato vita. Entro nell’amore, entro nel vuoto.